ci scrivono…

CI SCRIVONO…

IL MIO PAPA’ HA LA MALATTIA DI PARKINSON

Il mio papà si è ammalato di Parkinson quando ero molto piccolo.
Ora ho undici anni. Non riesco ad immaginarlo diverso da come è, l’ho sempre conosciuto così, con la malattia di Parkinson.
Alcune volte confronto la mia situazione familiare con quella dei miei amici. I miei compagni non si devono mai preoccupare se il loro papà è in grado o meno di camminare, né di aiutarlo ad assumere i farmaci ad orari prestabiliti.
Ma non mi lamento poi più di tanto. Nei momenti in cui ha una buona motilità, il mio papà si impegna nei lavori di casa, sa cucinare e i dolci sono la sua specialità. Non lavora più. Al suo posto, in ufficio, hanno assunto la mamma.
Tutto il suo tempo lo dedica a me. Mi ha insegnato a giocare a scacchi.
Nessuno dei miei amici ha un papà bravo in cucina come il mio e che trascorre tanto tempo libero con loro. Nonostante i notevoli problemi che la malattia di Parkinson crea in famiglia mi ritengo fortunato: ho un papà.

Giovanni

ci scrivono…

CON ALCUNE STRATEGIE, VIA LE INSICUREZZE

ci scrivono…

Quando vado dal neurologo per la visita di controllo scrivo in un taccuino le domande che voglio fargli, i dubbi e le insicurezze da chiarire, gli episodi particolari legati alla malattia.
Cerco di essere preciso in quello che dico cercando di fornire indicazioni chiare ed esatte. In questo modo, evito il rischio di dimenticare ciò che voglio dire allo specialista durante la visita.
Se la lista delle “cose” da chiedere è lunga, lo informo subito al momento della prenotazione oppure all’inizio della visita gli dico: “Ho tante domande da farle. Le ho scritte tutte in un foglio”, così il medico sa già come impostare il colloquio.
Quando parlo con lui ho imparato a ripetere ciò che ha detto: ad esempio: “Ho capito bene che devo assumere il farmaco tre volte al giorno…”.
Così può verificare se ho compreso bene le sue prescrizioni e quindi confermarle oppure, in caso contrario, correggerle.
Generalmente sono accompagnato da mia moglie che mi aiuta a preparare le domande da fare e soprattutto a stabilire il motivo della visita medica (ad esempio come risolvere l’insonnia?). Con i dubbi chiariti, torno a casa soddisfatto.

Pietro

L’esperienza di Mario: LA MALATTIA… E LA BICICLETTA

Da molto tempo avevo pensato di divulgare attraverso questa rivista la mia inedita storia con la malattia di Parkinson: solo adesso ho deciso di renderla nota, anche alla luce di un nuovo evento che alla fine di questo articolo svelerò.
I miei problemi di salute sono iniziati nel marzo 2005 in seguito ad un trauma cranico riportato in un brutto incidente stradale.
Un pirata della strada tamponò violentemente la mia autovettura. Per questo incidente fui ricoverato in ospedale, nel reparto di neurologia e venni dimesso dopo circa dieci giorni. Tornato alla normale attività lavorativa, mia moglie si accorse che iniziavo a manifestare disturbi motori, associati ad una andatura lenta e un po’ strascicante.
A questo punto occorre una premessa necessaria e indispensabile.
Fin da ragazzo ho dedicato parte del mio tempo libero allo sport, praticando cicloturismo ed allenandomi due/tre giorni alla settimana con un gruppo di “compagni di fatica” di diverse età, tutti iscritti all’associazione cittadina di cicloturismo.
Ho girato la Sicilia in bicicletta, partecipando a numerose manifestazioni, mettendomi al servizio degli altri con spirito di altruismo e lealtà sportiva.
All’inizio della malattia però facevo fatica ad andare in bicicletta, avevo poco equilibrio, non riuscivo a percorrere che pochi chilometri, mi affaticavo molto. Mi sentivo scoraggiato, a volte mi arrabbiavo, ma il sostegno della mia famiglia mi ha fatto capire che non dovevo arrendermi ma dovevo cercare di reagire alle difficoltà che mi stava creando la malattia.
Dopo circa due anni di cure farmacologiche, mi sentivo abbastanza bene. Ho quindi ripreso a pedalare con la bicicletta modificata, prima nei dintorni di casa, poi allungando i percorsi e affrontando anche strade con notevoli salite.
Ero tornato come d’incanto ai massimi livelli dell’attività sportiva.
Purtroppo l’insidia era dietro l’angolo.
Nel gennaio 2008 all’apice delle mie condizioni fisiche, in una giornata di domenica ebbi una brutta crisi con allucinazioni, eccitazione e confusione. Mia moglie non perse tempo. Mi portò subito al pronto soccorso, ma purtroppo lì trovai un muro di incompetenza e d’insensibilità in materia.
L’ospedale della mia città non ha il reparto neurologico, si appoggia ad una struttura privata che non ha sempre il posto libero per la degenza.
Mia figlia, attraverso internet, venne a conoscenza di una struttura sanitaria specializzata nel trattamento della malattia di Parkinson dove mi ricoverarono e, grazie alle cure prescritte, ritornai a stare bene.
Ormai sono passati più di due anni. Le mie condizioni di salute sono ora stazionarie. Ho alti e bassi, tipici della malattia. Quando sto bene riesco a pedalare con la bicicletta di città: scelgo percorsi pianeggianti con ritmi blandi. La bici la considero la cartina al tornasole delle mie condizioni di salute.
A volte, mentre pedalo, se non riesco a coordinare i movimenti, mestamente riporto la bici nel garage di casa.
Un’ultima considerazione: per combattere le malattie in generale oltre ai farmaci, occorre a mio giudizio una serie d’ingredienti naturali: una serena vita familiare, un gruppo di amici scanzonati, la possibilità di recarsi spesso al mare (il 31 dicembre scorso ho fatto l’ultimo bagno dell’anno approfittando delle eccezionali condizioni meteo).
Oltre a questi aspetti naturali ho aggiunto un ulteriore ingrediente tutto personale: per stare meglio in salute mi sono iscritto ad una scuola serale per conseguire il diploma di perito informatico.
Ecco svelato quanto dichiarato all’inizio della mia storia. Non è un paradosso. Dall’inizio dell’anno scolastico regolarmente ogni sera mi reco a scuola per sei ore quotidiane. Per restare in gruppo con la classe, costituita prevalentemente da giovani, devo pedalare più di loro; la malattia mi ha impedito di pedalare in bicicletta, non può impedirmi di pedalare con la mente.

LE MIE SCELTE

A mio figlio è stata diagnosticata la malattia di Parkinson all’età di 45 anni. Io ne avevo 75. Da allora sono passati quasi dieci anni. Al momento della diagnosi aveva appena divorziato e si doveva occupare di due figli ancora piccoli. Mi sono dovuta rimboccare le maniche per aiutarlo. Ho cambiato totalmente la mia vita andando a vivere con lui e con i miei nipotini. Questa però è stata la cosa più facile da affrontare e anche la migliore, se penso a me stessa. Se fossi rimasta lontana da loro, sarei stata perennemente preoccupata sapendolo solo, malato e con i bambini piccoli da accudire e da educare. Una volta insieme a loro, ho cercato di organizzare bene la casa rivolgendomi anche ad un aiuto esterno. Posso dire a posteriori che le cose non sono andate poi tanto male. I ragazzi sono cresciuti e danno sempre una mano in famiglia. La malattia di Parkinson quando colpisce un famigliare, coinvolge anche tutti gli altri. Ma se la famiglia è unita e bene organizzata riesce a gestire al meglio la persona malata, senza causare particolari sacrifici. I miei nipoti si preoccupano del loro papà e lo aiutano nelle sue difficoltà com’è normale nella vita. Per me non è stato purtroppo così. Ancora alla mia veneranda età, e devo dire spesso con fatica e stanchezza, mi occupo di tutti.

Adriana

ESSERE SPIRITOSI AIUTA

In ventitre anni di malattia di Parkinson ho imparato tante cose che mi aiutano a superare nel miglior modo possibile gli ostacoli che la malattia mi ha posto e mi pone davanti ogni giorno.
Non ho mai nascosto a nessuno i miei problemi e devo dire che ho trovato anche chi mi ha aiutato a mantenere quella serenità che tanto serve per non cadere in depressione.
Avevo un lavoro in proprio e, per evitare di trovarmi in difficoltà economiche, ho cercato un lavoro dipendente.
Giancarlo, il mio nuovo capo, all’epoca diceva “ho 400 famiglie che dipendono da me”.
Questo mi ha dato molta forza ad andare avanti e mi dicevo “stai tranquillo”.
Ho lavorato con lui quasi cinque anni poi, in un periodo in cui la mia mente non era serena a causa di gravi problemi creati da un mio fratello, è successo quello che mi aspettavo da tempo: Mrs. Parkinson si è scatenato e sono stato costretto, nel giro di 6 mesi, a lasciare il lavoro.
Sono andato in pensione per inabilità al lavoro nel giugno 2005.
Quello è stato il periodo più buio della mia vita. Anche se sapevo tutto dell’iter burocratico, ero io a dover passare in quella “bolgia”. Ora quei momenti sono solo un ricordo. Mi sono ritrovato in pensione a 45 anni.
Molti avranno pensato che fortuna, non deve più lavorare. Invece, ho riunito di nuovo i miei pochi neuroni superstiti per programmare i miei prossimi 50 anni. Sono passati altri cinque anni, non posso negare che il Parkinson limita la mia quotidianità ma, malgrado altri neuroni siano caduti in battaglia, ci riuniamo spesso con Mrs. Parkinson per fare il punto della situazione e per stabilire gli obiettivi futuri. Visto che a febbraio compio 51 anni, ora stiamo riprogrammando i prossimi 50 anni. Probabilmente il poco dormire dovuto al Parkinson mi fa comodo.
Negli ultimi cinque anni le ventiquattro ore non mi bastano più per fare tutto quello che ho in mente.
A volte Mrs. Parkinson mi chiama e mi dice “guarda che ci sono anch’io, mi lasci sempre solo, non pensi mai a me!”.
Spero tanto che si offenda e decida di andarsene, un giorno. Una cosa che mi piace dire agli altri di me è: “…se mi vedete tremare non è di certo per paura”.

Luciano

UNA STORIA D’AMORE, UNA VITA NORMALE

Non avevo ancora 43 anni quando mi decisi a far notare ad un medico i limiti di movimento della mano sinistra. La risonanza all’encefalo non rivelò nulla. Fui indirizzata da un neurologo: la visita consistette per lo più in prove motorie e colloqui mirati. Diagnosi: malattia di Parkinson. Terapia: da valutare. Consigli: rinunciare all’idea di avere figli (ero sposata da soli quattro mesi e chiesi io stessa un parere circa la prospettiva di diventare mamma). Riferita la situazione a mio marito, concordammo di pensare alla cura e di rinunciare alla possibilità di avere dei figli. A meno che non fossi già incinta, ma non pensavo che subito… invece sì, il test era positivo, dopo appena due giorni dalla diagnosi! Difficile riassumere in poche righe le nostre emozioni.  Quando, il giorno delle nozze, pronunciai la formula “prometto di esserti fedele sempre…nella salute e nella malattia” pensavo alla sua malattia e alla mia salute, sicura che mi sarei presa cura di lui. Non potevo sapere che, dopo quattro mesi, sarebbe stato lui a prendersi cura di me. Ora nostra figlia ha tre anni e mezzo. Ogni tanto qualcuno mi dice: “Già tre anni? Come sono passati in fretta!”. Io rispondo: “No, non per me. Sono stati lunghissimi e lentissimi”. Però, li ho vissuti giorno per giorno con la volontà di difendere e amare la vita e la salute, sostenuta dall’amore di mio marito e dalla fede in un Dio presente, che mi ama da sempre, che si è fatto carne e parola per rendermi come Lui. Non mi sono mai arresa e sono felice.  Marina

ci scrivono…
ci scrivono…

IL DESTINO E’ IMPREVEDIBILE

La mia esperienza è iniziata da poco. Durante l’estate la stanchezza mi ha “schiacciato”, ho pensato che fosse a causa del ruolo di nonna a tempo pieno per due delle mie tre adorate nipotine.
Fare ciao con la mano destra è diventato impegnativo e devo concentrarmi per riuscirci. Il piede destro non è più autonomo quando deve calzare un sandalo o una scarpa.
A metà ottobre mi sono rivolta al mio medico di base che mi ha parlato immediatamente di malattia neurologica.
Di corsa, dopo una visita specialistica e alcuni accertamenti mirati, mi è stata confermata la diagnosi di patologia parkinsoniana ipocinetica.
Ho iniziato immediatamente la terapia. Ho sempre amato fare lunghe passeggiate in montagna per raggiungere rifugi in alta quota o per andare per boschi a cercare funghi, la mia domanda è “…e adesso, la prossima estate, cosa farò?”.
Mi sto impegnando a non cambiare il mio stile di vita, ma è dura, faccio una fatica incredibile a metabolizzare questa “news” tanto intima. Ho 62 anni, da due anni sono in pensione. L’aspetto comico di questa nuova realtà è che mio marito, avendo una famigliarità con malattie neurologiche di tipo degenerativo, era terrorizzato dal pensiero di essere predestinato alla stessa sorte dei genitori. Invece è successo a me.  Teresa

DIARIO DI UNA GIORNATA “SI”

Oggi tutto è stato meraviglioso.
Ho quasi dimenticato di avere la malattia di Parkinson da undici anni, sono riuscito a fare tutto ciò che volevo.  
Adesso avrei voglia di abbracciare il mondo.
Sono felice.
Stamattina ho preso il treno, mi sono accomodato nel vagone ristorante ed ho ordinato la colazione.
Il treno correva silenzioso verso Como.
Sono andato a casa di cari amici, in una zona che conosco fin da quando ero bambino e dove andavo durante le vacanze estive.
Oggi mi sentivo proprio bene.
Stamattina, alzandomi dal letto, non ho avvertito alcun dolore, i movimenti mi riuscivano bene e quella sensazione di tensione alla spalla e alla nuca era quasi sparita.
Sono arrivato a Como alle nove e mezza, poi con i miei amici, passeggiando, siamo andati fino al lago che luccicava sotto i raggi del sole mattutino.
Certo, non camminavo speditamente come una volta, però non ho avuto alcun problema motorio.
Che gioia gustare, a pranzo, i piatti locali sulla terrazza soleggiata, chiacchierando piacevolmente.
Più tardi, ho ripreso il treno verso casa.
Ed ecco di nuovo la rigidità alla nuca, la giornata mi aveva un po’ stancato.
Mi sono addormentato lungo il viaggio per una mezz’oretta, poi ho assunto le mie compresse senza pensare “a cosa o contro cosa” dovevano servire.
All’ora di cena ero di nuovo seduto in cucina, a casa mia, stanco, soddisfatto e felice. Un malato di Parkinson vive come tutti gli altri.
Ho imparato ad apprezzare ciò che ho ed a prendere la vita con più filosofia.
Nelle giornate buone prendo per mano il “mio” Parkinson e gli dico: “Vieni, facciamo una passeggiata.
Ti mostro qualcosa di bello”.
Ho smesso da tempo di lottare contro il Parkinson. Non lo considero un amico, questo no, però ci convivo. Accetto le giornate nelle quali mi vuole dimostrare chi comanda fra noi due. Però adesso so anche come imbrogliarlo. Quando ci riesco, avverto una sensazione di compiacimento: mi sento forte e padrone della mia vita invece che in balia della malattia. Allora sento germogliare dentro di me la speranza che magari uno di questi giorni forse la ricerca scientifica riuscirà ad individuare la cura giusta per la malattia di Parkinson.         M.G.

TESTIMONIANZA
La mia vita insieme a Bruno

Mio marito è affetto dal morbo di Parkinson da dodici anni.
All’inizio, quando si scoprì la malattia, è stato un bello shock per tutti noi.
Lui, come reazione, si avvilì molto e cominciò a pensare che la sua vita sarebbe degenerata velocemente: si vide immediatamente debilitato, molto di più di quello che non fosse in realtà.
Fortunatamente in famiglia noi tutti siamo “positivi di natura” e non ci lasciamo abbattere facilmente e come reazione siamo diventati combattivi,  spronandolo spesso.
A volte, quando si lamenta troppo del suo male, quasi lo sgridiamo e cerchiamo di sdrammatizzare.
Prima della malattia è sempre stato un uomo molto attivo, amante dei viaggi, sempre occupato in mille attività hobbistiche, disponibile con gli amici e pieno di idee.
Ora non possiamo affermare che la sua vita sociale sia diminuita, anzi, sempre di corsa per aiutare altri ammalati o per l’attività dell’Unione Parkinsoniani.
Abbiamo cercato di spronarlo a continuare a viaggiare, anche se in maniera differente rispetto a prima, ma sicuramente a non rinunciare.
Quando organizziamo una vacanza o un viaggio lui comincia a dire: “ma sto male e se poi sto male?”…io rispondo: “va bene, ci penseremo al momento, intanto andiamo”.
Mi sono convinta che devo sempre insistere molto per convincerlo ma, poi, ci viene.
Una volta in vacanza si diverte e si rilassa, si dimentica quasi della malattia.
Al rientro a casa è sempre positivo e pieno di energie.

Ciò che per noi è sicuramente diventato più difficile da seguire sono i suoi ritmi molto frenetici e a volte ansiosi, se pensa di realizzare qualche cosa, di qualunque tipo, deve immediatamente farla anche a costo di rimetterci ulteriormente in salute. Tende a crearsi situazioni particolarmente stressanti e di conseguenza quando è a casa crolla fisicamente. Altro punto critico è la gestione dei farmaci… come un bambino ogni giorno, ad ogni scadere di dose, se non gli ricordiamo i farmaci se ne dimentica: ne abbiamo dappertutto anche in macchina.
Gli abbiamo comprato dei dosatori giornalieri e delle piccole poschette che dovrebbe avere sempre con sé ed invece si può stare sicuri che le dimentica.
Abbiamo pensato anche ad un orologio con un timer che lo avvisi che è l’ora della pillola ma anche questa soluzione sarebbe inutile perché, se è fuori casa, spesso non ha i farmaci, quindi, armata di grande pazienza continuerò a ricordarglielo.
In questi ultimi anni ho cercato di convincerlo ad andare in palestra per fare un po’ di ginnastica, ma probabilmente per la paura del confronto con gli altri, trovava sempre delle scuse per non andarci. Adesso che c’è il corso di fisioterapia con il gruppo di malati organizzato dall’Unione Parkinsoniani non solo ci va volentieri, ma si adopera affinché gli altri partecipanti frequentino regolarmente.
Già dopo due cicli invernali i risultati sono visibili: è più elastico e coordinato nei movimenti.
Il suo coinvolgimento attivo nell’Unione Parkinsoniani gli crea sicuramente tensione e stress ma ho costatato giornalmente la trasformazione positiva che ha creato in lui: ha riacquistato sicurezza in sé, voglia di fare e le sue condizioni fisiche generali sono migliorate.
Mio marito fa in pratica le stesse cose che faceva prima della malattia, ma con più titubanze ed incertezze: la paura di non poter gestire il suo corpo è sempre presente nei suoi pensieri.
Ho imparato che, con lui, funziona spronarlo continuamente, lo aiuto vivendo ogni giorno in modo positivo e propositivo senza pensare al futuro, dandogli sicurezza in ciò che fa senza mai assecondarlo nelle sue paure o abbatterci.
Anita Endrizzi Origano (Verona)

Perché la levodopa sia efficace è necessario che il farmaco superi lo stomaco. La levodopa non è assorbita a livello gastrico ma soltanto a livello intestinale. Un rallentamento della motilità e dello svuotamento gastrico possono essere causati dalla stessa malattia, dalla presenza di cibo (soprattutto lipidi), dall’eccessiva acidità gastrica o dall’assunzione concomitante di farmaci anticolinergici. Se la levodopa rimane nello stomaco non è, quindi, efficace. Un ritardo nello svuotamento gastrico può provocare, infatti, un prolungato “off” pomeridiano o anche un completo fallimento della compressa di levodopa. E’ stato dimostrato che la compressa può restare nello stomaco per diverse ore dopo l’assunzione: in alcuni pazienti lo svuotamento gastrico può richiedere addirittura 12 ore di tempo. L’uso di formulazioni liquide di levodopa ed un regime dietetico appropriato possono migliorare o addirittura risolvere il problema. È buona regola, ad esempio, preferire cibi facilmente digeribili a basso contenuto di lipidi, in quantità ridotte, da consumarsi con maggiore frequenza durante il giorno.


DR. FABRIZIO STOCCHI
Consulente scientifico IRCCS Neuromed, Pozzilli

CONSIGLI UTILI

 

Come posso contrastare efficacemente i disturbi della malattia di Parkinson?

Con i farmaci oggi disponibili il malato affetto da malattia di Parkinson è in grado di avere una buona qualità di vita.
Tuttavia, anche il trattamento riabilitativo costituisce parte integrante della terapia antiparkinson.
Le condizioni psicofisiche dell’ammalato possono, infatti, sensibilmente migliorare seguendo un programma di esercizi fisici, partecipando a gruppi di supporto psicologico, adottando una dieta alimentare equilibrata ed adeguata alle proprie esigenze.
Alcuni consigli pratici:
  l’attività fisica non deve essere praticata solamente durante i cicli di riabilitazione motoria riconosciuti dal Servizio Sanitario Nazionale che generalmente sono effettuati due volte l’anno: nella vita di tutti i giorni deve sempre trovare spazio un po’ di movimento (riabilitazione permanente).
La fisioterapia stimola la funzione respiratoria e quella cardiaca, migliorandole, stimola il complesso muscolare, rafforzandolo, mobilizza le articolazioni, rendendole più elastiche.
I pazienti che seguono un trattamento fisioterapico hanno maggiori vantaggi sui sintomi della malattia;

rispettare gli orari di somministrazione dei farmaci, in particolare della levodopa, tenendo presente di: a) assumere la levodopa prima dei pasti (circa mezz’ora prima);
b) i farmaci dopaminoagonisti vanno di regola assunti a stomaco pieno per evitare possibili nausee.
Non sussistono interferenze dietetiche per l’assorbimento di questi farmaci.
Lo schema terapeutico predisposto dal medico deve essere osservato scrupolosamente.
Si raccomanda quindi di assumere la giusta dose di farmaco al momento giusto.
Diversamente, il malato potrebbe incorrere nel rischio di non riuscire a controllare adeguatamente la malattia.
Per una migliore impostazione della terapia farmacologica, è molto importante determinare la durata d’efficacia di ogni singola dose di farmaco assunta;

  un effetto indesiderato che segue l’assunzione di una dose di farmaco deve essere subito segnalato al medico. E’ bene, infatti, che lo specialista conosca esattamente il tipo di risposta del malato al farmaco prescritto. Queste informazioni lo aiuteranno a consigliare al meglio il malato e ad impostare una terapia antiparkinson personalizzata, maggiormente corretta ed efficace;

assumendo preparati di levodopa solubile, è bene versare nello stesso bicchiere una seconda dose di acqua e berla: l’esperienza insegna che, proprio perché solubili, tali preparati possono rimanere in parte sulle pareti del bicchiere;

  l’alimentazione del malato parkinsoniano non differisce da quella del soggetto normale e deve comprendere tutti gli alimenti necessari: proteine, zuccheri, grassi, vitamine… Gli alimenti devono essere variati e rispettare le quantità necessarie al singolo individuo.
Non bisogna porsi dei problemi soprattutto nella fase iniziale di malattia.
Solamente in caso di fluttuazioni motorie, che consistono in variazioni importanti dello stato di autonomia del paziente durante la giornata, può essere indicata una dieta ipoproteica per migliorare l’assorbimento della levodopa.
Le proteine contenute negli alimenti, in particolare gli aminoacidi che le compongono, possono competere a livello dell’intestino tenue con la levodopa, anch’essa aminoacido, riducendone l’assorbimento.
Risulta, allora, che una minore quantità di levodopa raggiunga il cervello e l’effetto del farmaco è inferiore.
Attenzione però alle diete “fai da te” che possono causare carenze alimentari.
È opportuno seguire i consigli di un dietologo;

l’assorbimento intestinale della levodopa è influenzato anche dalla motilità dell’intestino spesso pigro nel malato parkinsoniano. È buona regola bere liquidi in abbondanza (circa un litro e mezzo d’acqua il giorno);

  mantenere il peso corporeo controllato.
La malattia di Parkinson non ha bisogno di aumenti supplementari di peso corporeo che provocano impaccio nei movimenti.
In caso, invece, di perdita di peso occorre valutarne le cause.
La riduzione dell’apporto alimentare può essere dovuta ad una depressione del tono umorale. La depressione si caratterizza, infatti, con una perdita dell’appetito.
In questo caso è chiaro che bisogna curare la depressione.
Altre volte, ancora, la riduzione dell’alimentazione è provocata dalla difficoltà che la malattia determina nei processi di masticazione, deglutizione e manipolazione dei cibi. In questa situazione è necessaria un’accurata assistenza e ricorrere a sostanze altamente nutritive, integratori proteici, supplementi di vitamine e di calcio.
Poiché è dimostrato che l’effetto dei farmaci antiparkinson migliora il processo di masticazione e deglutizione, sarà opportuno rivalutare la terapia con levodopa o con dopaminoagonisti e raccomandare di alimentarsi solamente quando vi è evidente l’effetto terapeutico;

controllare periodicamente la pressione arteriosa e potendolo fare, verificarla da sdraiati e subito dopo in piedi;

tra pazienti che inghiottono passivamente i farmaci e coloro che invece affrontano attivamente la loro malattia c’è un abisso. Due vite nemmeno paragonabili tra loro. Non affidarsi all’idea dell’attesa del farmaco magico che risolverà tutti i problemi.

Da “About Parkinson’s Disease. N.Y.

LA LEVODOPA

Come è stata scoperta la levodopa?

La scoperta della levodopa è dovuta alla fortunata coincidenza del lavoro svolto da due ricercatori che operavano autonomamente ed indipendentemente l’uno dall’altro, il Dr. Carlsson e il Dr. Hornykievicz. Il Dr. Carlsson, svedese, studiava nel suo laboratorio di Goteborg l’effetto che provocava la reserpina nei topi da esperimento. La reserpina è una sostanza ad azione antipertensiva, che è stata utilizzata per molti anni per la cura dell’ipertensione arteriosa nell’uomo.
Somministrando la reserpina ai suoi topolini Carlsson osservò che gli animali diventavano acinetici, non si muovevano più, avevano il dorso incurvato e presentavano dei tremori.
I topolini avevano un comportamento simile a quello del soggetto parkinsoniano (siamo alla fine degli anni ’50).
Il ricercatore svedese osservò anche che la reserpina provocava una deplezione di dopamina e di noradrenalina in una determinata struttura del cervello, in particolare dello striato (lo striato contribuisce alla elaborazione dei comandi necessari per l’attività motoria, sia volontaria, sia automatica). Ebbe la fortunata idea di somministrare la levodopa ai topolini che avevano assunto la reserpina ed osservò che i sintomi parkinsoniani regredivano completamente, questo perché la levodopa veniva trasformata in dopamina proprio nello striato e determinava il ritorno ad una condizione di normalità.
In Austria a Vienna, Hornykievicz stava facendo ricerche sul cervello dei soggetti parkinsoniani, e studiava in particolare il contenuto di alcune sostanze biochimiche delle regioni cerebrali tipicamente colpite dalla malattia.
Fu così che per primo individuò il principale e caratteristico difetto biochimico della malattia: la notevole riduzione di dopamina a livello dello striato.
Aveva dimostrato lo stesso difetto biochimico nella stessa regione cerebrale, che era stato trovato da Carlsson nei topolini.
La possibilità di antagonizzare l’effetto della reserpina con la levodopa, come dimostrato da Carlsson nell’animale da esperimento, ha suggerito ad altri ricercatori l’idea di provare questa stessa sostanza, la levodopa, anche nell’uomo colpito dalla malattia di Parkinson.
Fu così che negli anni ’60 furono compiute le prime sperimentazioni nei soggetti parkinsoniani e si vide la grande efficacia della levodopa che in pochi anni venne introdotta in tutti i paesi del mondo.
Questa fu una grande scoperta per tutti i malati parkinsoniani perché, dopo l’introduzione della levodopa nella terapia della malattia di Parkinson, la qualità di vita dei parkinsoniani migliorò consistentemente.
(www.limpe.it)

LA MIA DUPLICE ESPERIENZA COME TERAPISTA DELLA RIABILITAZIONE E FIGLIA DI UN MALATO DI PARKINSON

Sono figlia di un malato di Parkinson e mi occupo da molti anni, come terapista della riabilitazione, dei problemi della disabilità dell’adulto.
Ritengo, sia per esperienza personale, sia per la mia attività  lavorativa, che la famiglia rivesta un ruolo molto importante nella cura del malato parkinsoniano.
Già  al primo stadio della malattia, quando iniziano a manifestarsi i sintomi tipici del Parkinson, la famiglia si trova ad affrontare numerosi problemi fra i quali, a mio avviso il più  importante, “aiutare il proprio congiunto ad accettare la malattia”.
La persona che ne viene colpita ha inizialmente un rifiuto di questa malattia e, conseguentemente, rifiuta tutte quelle proposte medico-riabilitative necessarie per migliorare e contrastare i propri disturbi.
La famiglia è soggetta a cambiamenti improvvisi al suo interno. Deve riorganizzarsi velocemente per far fronte alle emergenze e alle necessità del proprio congiunto ammalato.
Questi cambiamenti possono causare delle crisi fra i suoi componenti, impreparati a fronteggiare le diverse difficoltà che si presentano.
Vediamo, di conseguenza, accrescersi notevolmente l’impegno della famiglia rivolto sia all’assistenza e al sostegno del malato, sia a ritrovare un nuovo equilibrio dopo i mutamenti inevitabili a cui è andata incontro a causa della malattia del proprio familiare.
Con il progredire della malattia, quando si accentuano di più i problemi della deambulazione, del linguaggio e il malato manifesta delle difficoltà a svolgere le normali attività della vita quotidiana (nell’igiene della persona, nell’alimentazione, nello spostarsi, ad esempio, dalla camera da letto al bagno), la famiglia viene a trovarsi, nuovamente, di fronte ad altri e differenti disagi da fronteggiare. Un familiare ha la necessità di essere sempre a disposizione. Non si può pensare di lasciare il malato da solo. In un attimo può  inciampare, cadere. E’ indispensabile che ci sia sempre qualcuno.
Direi che uno dei compiti più  impegnativi della famiglia sia quello di far mantenere al malato la propria personalità  nonostante la malattia.
Occorre, quindi, stimolarlo continuamente, anche dal punto di vista della socializzazione.
Cercare di fargli mantenere gli interessi che aveva prima della malattia.
Motivarlo ad uscire di casa per andare, ad esempio, allo stadio a vedere una bella partita di calcio, oppure al cinema dove proiettano un film interessante o al bar per ritrovare i propri amici.  
Deve rendersi conto che nonostante la malattia ha una sua personalità  e che deve continuare a vivere qualitativamente nel modo migliore.
Mi rendo, comunque, conto che è difficile trovare la giusta via: stimolare il malato da un lato e, dall’altro, non eccedere nelle richieste.
Se chiediamo al malato delle cose impossibili peggioriamo la situazione creandogli delle frustrazioni.
Il risultato è che, poi,  dal punto di vista emozionale, può avere dei problemi.  Nello stesso tempo, anche l’aiutarlo troppo può compromettergli quel poco di autonomia di cui dispone.
E’ difficile, quindi, per i familiari essere sereni, pazienti, disponibili nell’aiutare il malato.
Non si sa mai con esattezza fino a che punto si è utili.
Qual è, allora, il comportamento migliore da attuare da parte della famiglia per  garantire al malato una buona qualità di vita?  
Quando il problema si è verificato all’interno della mia famiglia, essendo terapista della riabilitazione e conoscendo questa realtà, sono stata sicuramente facilitata sia a gestire i conflitti e i disagi che naturalmente nascevano fra i miei familiari sia ad aiutare mio padre, come malato e come persona. Capisco, quindi, le sofferenze ed i bisogni emergenti delle famiglie che normalmente non hanno alcuna conoscenza di tipo medico-sociale nell’affrontare improvvisamente una malattia cronica come il morbo di Parkinson, che non sanno a cosa vanno incontro e quali necessità  richieda l’assistenza di questo tipo di malato.
La famiglia ha l’assoluto bisogno di essere aiutata, anche con semplici suggerimenti pratici.
Il malato di morbo di Parkinson  da solo non riesce ad allacciarsi le stringhe delle scarpe.
Può essere utile suggerire di sostituire le stringhe delle scarpe con del velcro.
Per spostarsi più agevolmente in bagno può risultare vantaggioso installare una maniglia vicino al water.
Consigli anche banali ma che sono utili per affrontare i problemi quotidiani e che, se non risolti adeguatamente, possono creare ulteriori difficoltà e tensioni.
Una migliore gestione del malato (anche sul piano pratico) contribuisce a migliorare la vita del malato e della sua famiglia.
Un  familiare

HO RESPONSABILIZZATO MIA MADRE

Mia madre da circa dieci anni è affetta dalla malattia di Parkinson.
Gestire razionalmente questa situazione non è stato e non è assolutamente facile.
Teoricamente, l’assistenza di un buon neurologo, le terapie farmacologiche e riabilitative prescritte dovrebbero essere non la panacea di tutti i mali ma, comunque, dovrebbero sicuramente aiutare ad alleviare i sintomi della malattia ed a migliorare la qualità di vita del malato.
Ma non è così semplice.
Durante il decorso della malattia ho constatato in mia madre un atteggiamento sempre più  accentuato di autovittimismo che, a mio avviso, rende nebulosi i confini fra i veri disagi derivanti dalla malattia e quello che è un lasciarsi andare di fronte a queste difficoltà.
Disagi e difficoltà che, forse, potrebbero essere meglio affrontati ed alleviati se il malato avesse una maggiore volontà di reagire.
Purtroppo, anche l’avanzare dell’età contribuisce già di per sé ad attenuare questa volontà.
Il rapporto con mia madre l’ho impostato facendomi guidare da una visione realistica dei suoi bisogni, sdrammatizzando situazioni di vittimismo e, nello stesso tempo, cercando di motivarla e di incoraggiarla “in ciò che deve fare”.
Prima di tutto, abbiamo voluto responsabilizzarla il più possibile.
Si è provveduto a crearle condizioni abitative funzionali, adatte alle sue difficoltà, affinché‚ potesse autogestirsi agevolmente.
Tutti noi, in famiglia, siamo sempre disponibili ad aiutarla però, in questo aiuto, stiamo attenti (dove possibile) a rimanere sempre entro certi limiti.
Vogliamo stimolarla nella sua indipendenza.
Mia madre, ad esempio, assume le pillole autonomamente rispettando gli orari prescritti dallo specialista.
Non occorre l’intervento di qualche familiare per ricordarglielo ogni volta.
Insisto continuamente con lei sulla necessità che reagisca ai disagi della malattia, che non si lascia andare, che si rammenti di dedicare un po’ di tempo della sua giornata agli esercizi fisioterapici (da effettuare non da sola, ma con qualcuno di noi familiari sempre lì vicino).
La sprono costantemente a fare del movimento.
Alcune volte noto la differenza di comportamento di mia madre quando sono presente io rispetto a quando c’è qualcun’altro.
Se ci sono io e le dico: “mamma, per favore, perché‚ non fai questa cosa?”, la fa senza nessun problema. Se c’è un’altra persona che invece si sostituisce a lei in qualche lavoro domestico, tende a lasciarselo fare, con tutta tranquillità.
A mio parere, se si aiuta il malato anche in quello a cui può provvedere da solo non si fa, aiutandolo, il bene del malato.
Il malato deve sentirsi (per quanto possibile) autosufficiente.
I risultati di questi sforzi sono confortanti e li constato concretamente.
Dopo dieci anni di malattia mia madre, pur assistita, ha una buona capacità di autogestione rapportata alla gravità della malattia ed alla sua evoluzione.
Testimonianza di un familiare

LA MIA ESPERIENZA DI OPERATORE IN UN CENTRO DIURNO

Molte volte anche lo stesso operatore che si occupa dell’anziano malato di Parkinson viene a trovarsi in uno stato di agitazione quando si rende conto che il malato inizia a manifestare degli effetti collaterali (un maggiore tremolio, blocco motorio) in orari della giornata “non sospetti”, essendo (almeno sulla carta) coperti dalla terapia farmacologica.
Mi sono resa conto in tanti anni di lavoro in un centro diurno per l’assistenza agli anziani che occorre “tempo” per trattare adeguatamente questo tipo di malato.
Molte volte il maggior tremore può scaturire dall’emotività,  da qualcosa che ha turbato improvvisamente il malato, che lo ha colpito nel sentimento.
Per far superare questi momenti di maggiore sconforto, una buona conoscenza del malato può aiutare l’operatore ad adottare la giusta strategia. Ad esempio, farlo passeggiare, farlo parlare.
Attraverso la messa in atto di opportuni comportamenti si arriva a calmare anche il tremore, indipendentemente dal farmaco.
Questo richiede tempo. Ci vuole tempo a gestire in modo adeguato questi malati.
Un operatore di un Centro Diurno di Parma

INTERVISTA A MARIELLA

Alcuni malati hanno una comprensibile reticenza ad entrare in associazioni di volontariato perché la malattia non causa loro alcun problema e temono di inquietarsi e di soffrire moralmente nell’incontrare malati in condizioni più gravi. Altri, invece, percepiscono difficoltà e disagio nel rendere pubblica la loro condizione e nell’esporre i loro famigliari al confronto pubblico.
Perché Lei ha scelto di entrare nell’Unione Parkinsoniani e qual è stata la sua esperienza e quella che ha fatto fare alla sua famiglia? Come ha fatto Lei e come fanno i soci dell’associazione a scoprire e assumere un proprio ruolo entro l’associazione? Ci vuole raccontare la sua storia?

Essendo una famiglia molto unita, mi è sembrata la cosa più logica e normale aiutare Bruno quando è stato colpito dalla malattia.
Conoscendo e condividendone le problematiche ho esteso la mia dedizione anche agli altri malati.
E’ stato invece più difficile accettare la sua patologia e vincere il naturale rispetto umano nel rivelarlo alla cerchia della parentela, degli amici e conoscenti che non sempre hanno la sensibilità e il rispetto nei confronti di un malato.
Poiché ero in pensione da un paio di anni, l’Associazione mi ha, da subito, offerto la possibilità di esprimere alcune potenzialità che sento di avere sfruttandole per aiutare che è meno fortunato: questo mi gratifica e mi da sempre nuova energia per proseguire nell’impegno che ho assunto.
Quando sono entrata nell’associazione era soprattutto Bruno che si occupava delle relazioni con le strutture pubbliche e sanitarie così ho cominciato a collaborare in modo sempre più intenso diventando il suo braccio destro.
Spesso ci spartiamo i compiti, sempre in pieno accordo, per conseguire gli obiettivi in modo rapido e nella forma migliore.
Sono i pazienti stessi che spesso manifestano i loro problemi quotidiani e ci chiedono di aiutarli a trovare un possibile rimedio: ciò costituisce il motore che stimola e dirige i nostri sforzi.
La mia speranza è che l’Unione Parkinsoniani si estenda su tutta la Provincia di Verona sensibilizzando altre persone a collaborare attivamente per il bene dei malati e delle loro famiglie.

Prof. Mariella Origano ,
Unione Parkinsoniani di Verona

CUSTODITE I FARMACI

Abito insieme a mia figlia ed alla sua famiglia. Mi chiedo cosa possa accadere e, in tal caso, come dobbiamo comportarci se uno dei miei nipotini ingerisse casualmente qualcuna delle compresse antiparkinson che uso giornalmente (Sinemet, Parlodel, Jumex).

I farmaci antiparkinson possono provocare nella maggior parte delle persone vomito, variazioni della pressione sanguigna, abnormi movimenti involontari e cambiamenti della personalità (stato di eccitazione, paranoie, …).
Si raccomanda, pertanto, di tenere questi farmaci lontano dalla portata dei bambini e degli animali domestici. In caso di ingestione accidentale, rivolgersi subito al Pronto Soccorso.

E’ PARKINSON?

Il tremolio della mano destra, imbarazzante e complessante in presenza di terze persone, anche degli stessi parenti, una camminata incerta ed insicura, infine, il braccio destro con una articolazione particolare “a ruota dentata” che si muove a scatti, come appunto accade ad una ruota dentata.
Tutti questi strani comportamenti mi hanno suggerito di consultare un neurologo.
Paradossalmente, un oculista è stato il primo medico a ritenere che le mie difficoltà potessero essere causate dalla malattia di Parkinson.
Il medico di famiglia, però, era di diverso parere e mi ha consigliato una visita neurologica.
In un primo tempo anche il neurologo ha escluso questa patologia successivamente ha rivisto la sua diagnosi prescrivendomi alcuni calmanti.
Il sintomo del tremore però è migliorato temporaneamente, poi è ricomparso.
Un altro neurologo, dopo una certa esitazione, mi ha invece prescritto la terapia antiparkinson ed il miglioramento è stato subito palese e duraturo.
Con i benefici di questo trattamento farmacologico ho ritrovato un po’ più di coraggio.
Il mio piede inciampa meno spesso e urta i gradini con minore frequenza quando salgo le scale.
Diverse “astuzie” gestuali mi aiutano a minimizzare i miei disturbi.
Mi accade di pensare che lo stato dell’umore gioca un ruolo non trascurabile nella mia situazione.
Il timore di tremare in pubblico è molto forte.
Questo timore si trasforma a volte in una vera e propria fobia mettendo a dura prova la mia stessa volontà. Anche lo scrivere è divenuto per me fonte di ansia.
Provo sentimenti di impazienza, di insofferenza di fronte alla lentezza della mia mano destra incapace di scrivere con una calligrafia leggibile e regolare.
Il pensiero di ciò che devo scrivere è più veloce della mia mano.
Vorrei scrivere veloce e bene invece mi rendo conto di tracciare solamente degli scarabocchi sul foglio di carta e ciò mi irrita, mi angustia notevolmente.
Ho deciso, inoltre, di passare il mio tempo libero leggendo dei libri ma mi accorgo che ho una certa difficoltà di concentrazione e una facile stancabilità.
Questa agitazione, questi momenti di difficoltà motoria, di ansia, di maggiore faticabilità sono proprio sintomi del morbo di Parkinson?
Gli specialisti che ho contattato hanno mostrato, inizialmente, difficoltà ed incertezza ad esprimere una precisa diagnosi, i loro pareri sono stati discordanti, rendendo particolarmente complicata (e ritardando) una valutazione obiettiva e corretta del mio caso.
Riflettendo, capisco che, in fin dei conti, questi sintomi  possono essere simili a tanti altri disturbi neurologici e che sono comprensibili (a volte) l’esitazione e i dubbi dello specialista a diagnosticare la malattia di Parkinson partendo da un tremore o da qualche altra difficoltà fisica, come l’inciampare camminando.

Lettera Firmata

FOCALIZZANDO L’ATTENZIONE

Ho insegnato per oltre venti anni in una scuola media Matematica e Scienze Naturali.
Quest’anno è arrivato per me il momento della pensione e finalmente posso dedicare il tempo libero che ho a disposizione ai miei hobby preferiti.
Da circa sette anni sono, purtroppo, affetto dalla malattia di Parkinson e presento un forte tremore alla mano ed alla gamba destra che si accentua quando sono particolarmente nervoso ed agitato.
Seguo scrupolosamente il trattamento farmacologico prescrittomi dal neurologo con buoni risultati ma, recentemente, ho notato un sensibile miglioramento delle mie condizioni fisiche che mi è stato anche confermato dallo stesso specialista (che fra l’altro si è anche stupito poiché sembra che i miglioramenti nella malattia di Parkinson non siano frequenti).
Da alcuni mesi partecipo, come cantore, all’attività di un piccolo coro della mia città.
Durante un concerto, mentre la mia attenzione era rivolta al testo della musica, all’ascolto delle note ma, soprattutto, al maestro del coro (dovendo seguire con scrupolo ed esattezza le sue direttive), la mia mano ha cessato improvvisamente di tremare.
Allora, meravigliato, mi sono concentrato sulle parole del brano che stavamo cantando e dopo poco tempo era scomparso ogni tremore.
Dopo questa meravigliosa esperienza, ho riflettuto attentamente e sono arrivato a questa conclusione.
Ciò che mi è accaduto è il risultato di un insieme concomitante di fattori: l’ambiente piacevole che mi circondava, essere impegnato in una attività gratificante ma soprattutto avere “focalizzato” molto intensamente la mia attenzione verso una ben precisa direzione.
Ritengo che ciò che mi è successo possa trovare sicuramente riscontro anche in altre situazioni.
Sarei, pertanto, lieto di conoscere, attraverso l’Associazione, se questa mia esperienza sia stata già vissuta anche da altri malati.
Tanti cari saluti a voi tutti.

Giovanni- Brescia

IL CARATTERE AIUTA

Mio padre è affetto dalla malattia di Parkinson da 25 anni. Si è ammalato a 45 anni e, purtroppo, ha perso mia madre 15 anni fa.
E’ una persona che rimane tuttora autonoma.
Anche se vive insieme a noi, si occupa personalmente di tutte le sue necessità: si rifà il letto da solo, si cucina il pranzo, mangia da solo.
In famiglia lo lasciamo molto libero.
E’ così autonomo forse perché ha una forma non grave di tremore ma è così anche per il suo carattere.
Non si è mai lamentato.
Dal momento in cui si è ammalato, fino a quando è andato in pensione, a 55 anni, ha continuato a lavorare anche se ha dovuto affrontare molte difficoltà. Difficoltà che non ha mai fatto pesare in famiglia.
In tutti questi anni si è gestito da solo ed ha accettato la sua malattia.
“Andare nel bosco per funghi” è una delle sue passioni.
Quando decide di andare a cercare i funghi, uno di noi familiari lo accompagna in una determinata zona della montagna parmense (che conosce, ormai, molto bene) e, poi, ad un orario prestabilito, lo va a riprendere.
Cammina da solo, per ore, nel bosco. Ha, comunque, sempre con sé il telefonino attraverso il quale rimaniamo in costante contatto.
Ho parlato di mio padre per dare concrete speranze a tanti malati: la malattia consente nonostante tutto di avere una vita normale.  

Domenico- Parma

LETTERA AD UNA MOGLIE

Mia cara,
sono passati circa quarant’anni dall’ultima volta che ti scrissi: avevi allora le trecce bionde che io insolentemente tiravo per trasmettere un insolito messaggio, di amore.
“Tempus fugit” e con il passare degli anni la soglia del livello emozionale si abbassa: meglio quindi scrivere così i turbamenti si nascondono meglio.
Scrivo per esprimerti la mia gratitudine perché vivi con me la mia malattia facendo rinunce, manifestandomi una dedizione assoluta.
E’ molto importante trasmettere, come fai tu, sicurezza in un soggetto che a volte è smarrito ed incerto, cercando di minimizzare le patologie e, novello Cerbero, controllando la corretta assunzione dei farmaci, elemento indispensabile per una accettabile condizione di vita.
Poi gli interventi su tutte le azioni che costellano il quotidiano e per le quali, nonostante la mia buona volontà, non riesco a superare le difficoltà oggettive.
Per questo il tuo aiuto mi è prezioso ed indispensabile anche quando, per celia, mi chiami Mennea!
Così quando riposi, o fai finta di riposare, ripetendo il messaggio di allora, ti accarezzo i capelli, ora non più biondi, piano piano per non farti  male.

A.

IN VACANZA CON IL VIDEO

Carissimi,
meritate una lode tutti per la realizzazione della videocassetta “Esercizi motori nel morbo di Parkinson”. E’ utile, spinge ad imitare quando “non ce la facciamo”, è divertente per chi ci aiuta, fa fare ginnastica anche ai familiari.
Può lasciare la voglia di andare “in giro”, anche in vacanza, con il proprio video.
Posso fare delle richieste?
Nello spazio “nero” tra un esercizio e l’altro, non si può registrare un numero progressivo? Allora gli esercizi numerati si possono trovare più facilmente; possono essere usati in diverse serie, per specifici motivi…
Guardando il video e sulla cassetta non ho visto il marchio registrato del prodotto: è conveniente? E l’indirizzo dell’UP?
Un altro desiderio, magari già esaudito.
Quest’anno di tempo perturbato, dal punto di vista meteorologico, ne abbiamo avuto dopo Pasqua. Domando: è possibile sapere cosa succede alle amiche e amici quando c’è tempo brutto? Ho l’impressione che il saperlo, in quei momenti, mi possa facilitare la convivenza con “l’off” e mi possa aumentare l’umorismo, il sorriso e l’amicizia.
Ultima, mi è stato detto: “Vuoi fare una cosa utilissima per vincere la malattia di Parkinson? Dona il tuo cervello a chi lo potrà studiare”. Si può sapere qualcosa?
Finisco con un grazie a tutti, perché io sono contento di essere in mezzo a voi.

G.L. Parma

Grazie amico della lettera e delle lodi. Ti rispondo subito: mi fa molto piacere che sia utile la nostra videocassetta per gli esercizi motori oltre che a te anche alla tua famiglia e spero che te la porterai in vacanza.
Per le tue richieste mi auguro che gli altri amici vorranno risponderti di come si sentono quando c’è tempo “brutto” e, poi, per una domanda così difficile, riguardante l’aiuto che si può dare alla scienza con il dono del proprio cervello, so che a Londra esiste la Banca del Cervello. In Italia, non risulta che ci sia attualmente una tale istituzione.
Il quanto alla videocassetta è stata inoltrata regolare domanda alla Camera di Commercio ed Artigianato di Parma per ottenere la registrazione del marchio del prodotto.
Per le altre osservazioni, ne terremo conto per la prossima serie di videocassette che produrremo.
Grazie ancora e forza, sii sempre così.                                                       

Il Redattore

LA MIA ADESIONE ALL’UP

Carissimi amici,
Quando nell’autunno 1992 fui interpellata dal Prof. Calzetti, il neurologo che cura mio padre da anni, per iniziare una collaborazione con quella che poi è diventata l’Unione Parkinsoniani, non vi nascondo che il mio coinvolgimento e la mia adesione nascondevano soprattutto aspettative di miglioramento per la persona della mia famiglia alla quale voglio tanto bene. Ero sensibile al problema perché, vivendolo quotidianamente, conoscevo le necessità del malato parkinsoniano che va tanto aiutato e spronato. Col passare del tempo, tuttavia, mi sono accorta che, per motivi di salute anche legati ad altre patologie, il mio familiare non poteva trarre particolare giovamento dalla vita dell’Unione, ma le iniziative che, mano a mano, in questi due anni di attività sono state attuate, tutte finalizzate a migliorare le condizioni di vita dei malati, mi hanno spronato a dare un poco del tempo che mi rimaneva per la vita dell’associazione. Le ambizioni ed i programmi sono tanti e il desiderio di aiutare chi vive questa malattia è grande ed aumenta più ci si addentra nel problema. Vi prego di credermi quando vi dico la gioia che provo nel vedere ammalati, che non uscivano da casa da anni, raggiungere la sede per le riunioni mensili oppure aderire all’attività di riabilitazione motoria svolta a piccoli gruppi. Questo mi sprona a continuare, nonostante le infinite difficoltà di ordine pratico ed organizzativo che si devono affrontare nella vita dell’associazione, difficoltà legate anche alla necessità di fornire aiuti economici alla ricerca scientifica.
Il lavoro continua col desiderio di programmare incontri personali con i malati ed i familiari in modo da superare lo stato di isolamento in cui, spesso, il parkinsoniano si rifugia.
Raccomando vivamente di partecipare alla vita dell’associazione con proposte ed interventi volti ad aiutare anche chi non può uscire di casa, ma avrà sempre nel nostro centro un punto di riferimento. E’ isolandosi che non si migliora e ci si chiude sempre più, è, invece, uscendo e confrontandosi che si vive in maniera più serena la malattia. Un saluto cordiale ed auguri a tutti.

Giuliana Masini

IL NOSTRO IMPEGNO ASSOCIATIVO

Quando, circa due anni fa, progettammo e poi realizzammo la nascita dell’Unione Parkinsoniani, non pensavamo che questa associazione di volontariato fosse, sia pure con tutto il nostro entusiasmo, tanto impegnativa.  
Lungo la strada si costruiscono il lavoro e le idee, e il lavoro ne abbiamo fatto tanto con gioia, con dolore e con amore.
In Parma, infatti, non vi era nessuno che si prendesse cura dei malati di Parkinson, ed ora non pensiamo solo ai Parkinsoniani di Parma e provincia ma anche ad alcuni di Reggio Emilia e Bologna.
Abbiamo stabilito inoltre ottimi rapporti con l’associazione di Roma.
Ma torniamo al nostro territorio.
Vi sono malati impossibilitati, a causa della loro malattia o a causa della loro lontana ubicazione, a frequentare la sede, ed allora perché non visitarli noi?
In coppia o da soli abbiamo finora raggiunto al loro domicilio oltre una quindicina di malati, anche residenti fuori città, e sono stati positivi, per noi e per loro, il contatto umano e l’amicizia nata spontanea dall’incontro. Per ora siamo ancora poco numerosi per sviluppare, quanto vorremmo, questo servizio (che fra l’altro rientra tra le finalità specifiche dell’associazione), sentiamo perciò il desiderio di potenziarlo anche con la collaborazione di altri che speriamo vorranno aiutarci numerosi in questa attività.  T.F.

UNA INTENSA ATTIVITA’ ASSOCIATIVA

Cari amici,
mi sono iscritto all’associazione dopo che un vostro socio me ne ha parlato e contagiato dal suo entusiasmo ho aderito molto volentieri. Conoscevo la malattia soltanto di nome e non sapevo delle difficoltà che i malati parkinsoniani devono vivere ogni giorno.  
Sono venuto qualche volta nella vostra sede e ho visto tutti i volontari impegnati a discutere sui programmi da realizzare, a rispondere alle telefonate, ad imbustare le lettere da inviare ai malati per informarli degli incontri mensili con gli specialisti, a preparare il notiziario preoccupandosi del contenuto degli articoli e delle notizie utili da dare.
Ho sentito parlare di programmi di sviluppo insieme con altre associazioni del territorio.
Tutto questo mi ha fatto enormemente piacere poiché nasce spontaneamente, senza alcun interesse ma solamente per spirito di servizio.
Per quello che posso rendermi utile, sono a vostra disposizione.

Cino – Parma

CON IL CATTIVO TEMPO

Scrivo per dare una risposta alla lettera pubblicata lo scorso anno nel numero 2 del notiziario dell’associazione, nella quale un socio chiedeva come ci si sente quando c’è cattivo tempo.
Con la brutta stagione il mio umore peggiora sempre ed in genere mi sento giù di tono.
Il mio neurologo mi ha confortata dandomi delle spiegazioni scientifiche.
Questo mi aiuta molto perché riesco a capire i motivi di una certa svogliatezza che mi crea tanto disagio.
Tutto ciò dipenderebbe dall’ipofisi, una piccola ghiandola situata alla base del cervello, che produce melatonina, un ormone che si forma durante la notte per diminuire di giorno.
Un suo eccesso causerebbe questi disturbi dell’umore ma con l’esposizione alla luce e quindi con il bel tempo verrebbe riequilibrata la sua quantità.
Trovata la risposta logica, quando avverto questo malessere guardo un bel film oppure leggo o vedo un programma televisivo divertente per riuscire a superare questa melanconia e mi sento meglio.
Con affetto.

Franca – Parma

LETTERA A MIO NONNO

Provate a chiudere gli occhi per un attimo e ad associare un’immagine alla parola “nonno”. Vedrete un anziano signore che gioca in un parco con i suoi nipotini, che si dedica al giardinaggio, che va a fare la spesa al negozio del quartiere.  
Mio nonno non è nulla di tutto ciò perché è affetto dal morbo di Parkinson da più di quindici anni. Tuttavia mi sento in una condizione di inferiorità solo apparente: se, da un lato, avverto che mio nonno ha bisogno di tutti noi, dall’altro ho ormai imparato che lui può darmi molto, sul piano umano e morale. Quando lo guardo capisco che il suo modo di affrontare la sofferenza, con un atteggiamento cosciente ma non per questo rassegnato è un modo di affrontare le prove che la vita ti propone, senza false illusioni o facili disperazioni. Io non ho mai visto mio nonno prima della malattia e quindi non posso dire con precisione come essa abbia influito sul suo carattere, sono certa però del fatto che questa ha messo in discussione le sue scelte, i suoi programmi, o suoi sogni.
A volte mi chiedo cosa voglia dire non essere autosufficienti e dover sempre ricorrere all’aiuto di altri anche per i bisogni più elementari. Quando rifletto su questo problema capisco quanto mio nonno abbia bisogno di me, non per una assistenza pratica, infermieristica che probabilmente non saprei dargli, ma per dimostrargli che lui, con la sua malattia, con la sua necessità di aiuto è stato importantissimo. Al di là delle medicine, delle cure, della terapia sento che lui ha bisogno di qualcuno che gli dimostri come la malattia non gli abbia impedito di essere un nonno perfetto.
Credo che un malato, così dipendente da chi lo circonda, abbia bisogno di sentire per una volta che anche noi abbiamo bisogno di lui.
E’ questo che volevo comunicargli con questa mia lettera, in cui ho scritto parole che forse non avrei mai avuto il coraggio di dirgli.
Un “grazie” e un “ti voglio bene” ad una delle persone più importanti della mia vita.

Laura – Parma

UNA PREZIOSA INFORMAZIONE

Per le circostanze della vita, mi trovo a vivere da solo e da solo affronto i tanti disagi che la malattia di Parkinson mi provoca.
Non sempre riesco a gestire facilmente le mie giornate e spesso mi sono trovato nella necessità di chiedere l’aiuto necessario ad altri.
Ho scoperto, allora, nell’ambito della mia città, servizi utili di natura sia pubblica, sia privata di cui non immaginavo neppure l’esistenza.
Il trasporto, ad esempio, è un bisogno ricorrente che ho risolto rivolgendomi al servizio “Minibus a chiamata”, organizzato dal Comune per chi, come me, ha una ridotta capacità motoria.
Raccomando a tutti di informarsi presso il proprio Comune, l’Azienda USL, la Regione, le Associazioni di volontariato, le Parrocchie ecc. dei servizi disponibili che tante volte non vengono ben utilizzati a causa della mancanza di una adeguata informazione.
Non perdiamoci d’animo, ci sono tante persone che ci possono aiutare.

Mauro – Parma

PENSARE IN POSITIVO

Ricevo regolarmente il notiziario dell’Associazione. Ho pensato, quindi, di scrivervi per far conoscere la mia esperienza di quasi dieci anni di convivenza con la malattia di Parkinson.
E’ stato ed è un cammino faticoso, regolato costantemente dalla terapia farmacologica.
Per riuscire a vivere nel modo qualitativamente migliore cerco di seguire il consiglio di mia figlia che mi sprona a pensare “in positivo”.
La teoria è piuttosto semplice. Ciascuno di noi, infatti, ha un costante dialogo interiore con la propria mente che amo definire, scherzosamente, la mia instancabile “Radio Mentale privata”.
Se cancelliamo da questa preziosa radio, costantemente attiva, i vecchi e sterili programmi dai titoli “Non ce la faccio”, “Non posso”, “Non ho le capacità”, “Non so”, “Sono veramente scoraggiato” e li sostituiamo con nuovi pensieri positivi come “Bravo, hai fatto del tuo meglio”, “Non ti scoraggiare, vai avanti”, “Se ti applichi puoi farcela”, “Non spaventarti, il momento di blocco motorio passerà”, “Per sopportare tutte queste difficoltà sei veramente una persona speciale”, diamo spazio alla voce più saggia che è dentro di noi la quale ci ricorda che abbiamo straordinarie risorse personali a cui possiamo ricorrere per superare le nostre difficoltà e per riuscire a vivere serenamente.  
Potrà sembrare semplicistico e banale, ma vi assicuro che questa continua lotta che intraprendo giornalmente per cercare di eliminare i pensieri “neri” e sintonizzarmi con i programmi positivi e costruttivi della mia “Radio Mentale privata”, mi aiuta notevolmente a non sentirmi depresso e ad andare avanti con maggiore tranquillità.
Un saluto affettuoso e tanti cari auguri a tutti.

Riccardo – Firenze

PARLA UNA MOGLIE: LA MIA ESPERIENZA

Il deambulare gli è difficile, lo affligge una stanchezza inspiegabile, ha lo sguardo attonito, fisso, assente, una pigrizia in contrasto con la sua personalità attiva, creativa, versatile.  
Una visita neurologica emette una diagnosi inattesa: è morbo di Parkinson.
Il mondo pare crollargli intorno.  
La malattia è irreversibile.
Per mio marito sembra che non ci sia più futuro.
Tende ad isolarsi, si chiude in un silenzio triste, rassegnato che non è proprio del suo carattere.
Io con coraggio ed una buona dose di ottimismo, affronto la situazione e mi impegno per non considerare mio marito un malato.
Lo esorto a continuare il suo lavoro, riesco a suscitare in lui interessi che egli aveva in potenza e che il tempo, che egli dedicava con intensità al suo lavoro, non gli aveva permesso di scoprire e di coltivare.
La lettura che mio marito ha sempre amato, l’audizione di buona musica, lunghe passeggiate, insieme, alla scoperta della nostra bella città, l’incontro con amici, l’accudire alla crescita di un nipotino, sono stati determinanti, perché mio marito si rendesse conto di poter continuare a vivere serenamente, seguendo, con fiducia nella sua efficacia, la terapia scritta da un neurologo valente ed amico.
Ho vissuto cinquant’anni di vita coniugale; di questi, venti anni sono trascorsi accanto a mio marito, affetto da morbo di Parkinson; è stata una esperienza che vorrei continuare a vivere; non ho sentito fatica, ho scoperto in me possibilità che non credevo di possedere ed in mio marito doti che ci hanno permesso di vivere più intensamente la nostra vita coniugale, alla quale l’attività professionale di entrambi non aveva permesso di dedicare tutto il tempo che avremmo desiderato.
Durante il periodo della malattia, ci siamo scoperti forse nuovi, migliori; il nostro affetto si è approfondito, abbiamo riconosciuto dono della provvidenza l’esserci incontrati, conosciuti ed amati. Abbiamo apprezzato insieme il grande dono divino della vita che, anche ora, pur nella solitudine, per me continua nel ricordo di mio marito che mi è sempre vicino ad ispirare ed a confortare le mie azioni quotidiane.

Un’amica dell’Unione Parkinsoniani

SERA D’AUTUNNO

Camminava lentamente verso casa, non aveva alcun desiderio di arrivare presto, di ritrovare come sempre l’atmosfera ovattata e calda che conosceva tanto bene.
Camminava lentamente e si accorgeva che nemmeno stava pensando.
Tutto era accaduto così in fretta, così inaspettatamente (o no?) che non riusciva a concentrarsi su nulla di preciso.
Camminava e basta.
La direzione era quella di casa sua, ma era come se desiderasse non arrivarvi mai.
Eppure sapeva che negli ultimi mesi aveva sempre più barato con se stesso.
I segni, evidenti, inequivocabili per chi, come lui, aveva già avuto un amico ammalato, erano là, tutti i giorni, tutti gli istanti della sua giornata a dirgli che qualcosa era accaduto.
Gli altri, la moglie, i figli così affettuosi ma così distratti, non avevano capito.
Sei stanco, ripetevano.
Devi andare in pensione.
Devi finalmente riposarti.
C’era voluto tutto il suo coraggio per recarsi da un medico e mettere a nudo quel suo corpo che non rispondeva più così bene come sempre ai comandi.
Quello che si era sentito dire non era che la conferma di ciò che ben sapeva. E tante parole, dalle medicine alla fisioterapia, che non aveva avuto voglia di ascoltare. Aveva finto attenzione perché, il medico non si vergognasse di chiedergli dei soldi per una diagnosi che lo sprofondava nel buio.
Camminava lentamente ed ad un tratto decise che era meglio lasciarsi andare, tornare nella casa calda ed accogliente e non fare più nulla.
Avrebbe lasciato l’ufficio, così almeno non avrebbe più avuto paura di fare cadere un foglio dalle mani.
La moglie, la cara, devota, infaticabile compagna di tutta la vita, avrebbe pensato, agito, fatto per lui. Almeno non ci sarebbero state più decisioni da prendere.
Entrò in casa senza suonare il campanello.
C’era un insolito silenzio, la radio- sempre accesa- taceva.
In cucina, sul tavolo, il biglietto.
La figlia era all’ospedale, le doglie erano arrivate, in frigo era pronta la cena.
D’un tratto mangiare gli sembrò disgustoso e peggio ancora che la moglie avesse pensato che quello era ciò di cui aveva bisogno in quel momento.
Un nipotino.
La dolce, inaffidabile, tenera figlia, che tanto lo aveva fatto disperare per gli studi completati a fatica, per quel marito trovato chissà dove, stava per dargli un nipotino!
Doveva far presto, prendere l’auto e correre all’ospedale prima che “lui” (non poteva essere che maschio!) arrivasse.
Mentre si pettinava, si aggiustava la cravatta, guardandosi allo specchio ebbe davanti a sé per un attimo il viso che aveva mostrato ad un dottore che l’inchiodava con quella sentenza.
Si i farmaci, si la fisioterapia, si tutto quello che occorreva, ma non avrebbe ceduto per un attimo alla malattia.
E il lavoro?
Non poteva certo lasciarlo ora: il nipotino avrebbe dovuto avere un nonno attivo ed efficiente.
Voleva vederlo crescere e non poteva farlo se abbandonava tutto ora.
Scese di corsa le scale e sentì d’un tratto che quella gamba che da tanti mesi lo tormentava scendeva veloce con lui.
Un episodio di vita raccontato da una socia dell’Unione Parkinsoniani di Parma

Commenti chiusi