Parola ai pazienti

PAROLA AI PAZIENTI

 

 

Dat Scan: riaffiorano i ricordi

Parola ai pazienti

Sto facendo il Dat Scan, una moderna diavoleria che non so bene a cosa servirà. Un altro supplizio! Ho la testa bloccata e sopra un tunnel che avanza lentamente e sembra schiacciarmi.
Non devo muovermi assolutamente e so che durerà 40 minuti. Ho pensato di farmi venire in mente dei ricordi piacevoli così il tempo passerà più in fretta…

I miei genitori sono originari del Trentino, esattamente di un piccolo paese vicino a Cavalese nella valle di Cembra, “Piscine”, una frazione del comune “Sover”, dove andavo sempre in vacanza in estate. Sono a Piscine, nella nostra casa d’estate e come quasi tutti giorni vado nel bosco per procurare qualche cosa per noi. Ho i miei scarponcini, il golfino legato alla vita, una borsa, un secchiello e una corda. “Ciao mamma, io vado” E giù di corsa per la scala di legno. Devo passare dalla Gigiota per il merendino nel bosco.

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Una “bina”, un pane diviso in quattro pezzi e la “bondola”, una squisita mortadella di Bologna che così buona non l’ho più mangiata ed in ultimo un etto di mentine “Leone” che la Gigiota prende da un barattolone di vetro e pesa sulla carta oleata. Si parte! Attraverso il paese e ai “Giani”, l’ultima casa, il sentiero si fa piccolo e passa su un costone roccioso esposto al sole dove cresce solo qualche piccolo pino e qualche betulla che le caprette mangiucchiano con il tintinnare dei loro campanelli. Comincio a raccogliere qualche “pitota”, piccole pigne del pino. Ma poi dico: “Che scema, le raccoglierò al ritorno, per non portarle con me”. Arrivo al Rio delle Bore e attraverso il ponticello di legno. Qui inizia il vero bosco di abeti. Scendo in un piccolo pianoro muschioso perché so che lì ci sono sempre dei “finferli”. Ne raccolgo un po’, ma sono piccoli. Su e giù,su e giù, conosco i posti e qualche cosa trovo sempre. Poi arrivo ad una radura e lì c’è un “giasenar”, tante piante di mirtillo e ne metto nel secchiello un bel po’.

Ora è proprio l’ora di mangiare e vado a cercare la pietra che ho chiamato “il mio letto”, un grosso sasso concavo rivestito di muschio dove mi corico sempre a pensare e a guardare il cielo. Adesso bisogna che inizi a fare legna e comincio a spezzare con le ginocchia dei bei rami di larice che lego insieme con la corda a nodo scorsoio. Decido di rientrare perché sento suonare le campane delle 11. Torno sui miei passi, oggi ho fatto una bella raccolta, un fazzoletto di funghi, un secchiello di mirtilli e una fascina di legna! Raccolgo ancora le “pitote” e quando arrivo in paese passo dallo stradone per non farmi vedere dai paesani. “Mamma, sono arrivata!”. Mollo la fascina e salgo la scala di corsa, entro in cucina e c’è la mia mamma con i suoi capelli bianchi, il suo maglioncino rosa, sempre in ordine. “Brava Lidia, quante cose hai portato, vieni che ti ho preparato il minestrone con il pesto”. Che buon profumo, qui è tutto così semplice, forse è questa la felicità. Il rumore del Dat Scan mi riporta alla realtà, sento l’infermiera che dice “Ancora sette minuti” e mi metto a contare.
Lidia Vettori

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Correre nel Parkinson

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Novembre 2012, ho 47 anni. La gentile neurologa mi dice “lei ha un leggero Parkinson”. Penso, meno male che è leggero e torno a casa senza fare altre domande. Sarà internet a ragguagliarmi con dovizia di particolari: capisco anche che “leggero” significa all’inizio. Inizio di una malattia neurologica degenerativa progressiva. Ma di questo ne sapete tutti più di me. Alcune visite da specialisti parkinsonologi, un esame al cervello e la diagnosi è confermata; in poco tempo ho anche la prescrizione della cura a base di farmaci dopaminaagonisti. Organizzo anche una conference call con un naturopata americano che promette di guarirmi con succhi e verdure crude. Mi tengo succhi e verdure e mollo il naturopata americano. Mi faccio la mia dieta con abbondanti frutti di bosco tutte le mattine, un paio di pasticche (i famosi dopamina-agonisti), poca carne, poco alcool e le verdure crude dell’americano.

Al lavoro non ne parlo e continuo a svolgere le mie responsabilità mettendo, quando serve, la mano tremante in tasca. I più attenti potrebbero notare qualcosa, ma nessuno ormai è attento ai dettagli. Il tremore è gestibile ma il blocco alla spalla sinistra è fastidioso e il braccio non oscilla. Quando cammino pende rigido e inanimato giù diritto lungo il busto. Se lo muovo non va a tempo con la gamba destra. La fisioterapia non fa per me e la colloco con il naturopata americano. Una mattina soprappensiero attraversando a piedi con l’arancione le mie gambe scattano per raggiungere l’altro lato della strada e scopro che il braccio si muove: la corsa! Inizio così delle corsette al parco e il benessere è immediatamente tangibile. Prima una volta alla settimana, poi due e ogni tanto anche tre. Senza esagerare, senza sfiancarsi ma comunque con un minimo di perseveranza. Un mio cugino, persona speciale, di quelle che ti aiutano con i fatti e non con le parole, mi sprona a continuare a correre e mi fa iscrivere alla mezza maratona di Padova del 27 aprile di quest’anno. Mi sono sempre piaciute le sfide e adesso ne ho due: il Parkinson e la corsa. Inizio ad allenarmi un po’ di più ma nemmeno tanto perché mi fanno male prima i polpacci e poi le ginocchia, sento però che il corpo si sta adattando. Al massimo sono riuscito a correre per 14 chilometri in un’ora e mezza e la data si avvicina. Nonostante tutto mi presento alla partenza ignaro e sfrontato insieme al fido cugino. Pronti via. Si parte. Il ritmo è di 6 minuti e 15 secondi al chilometro e la stanchezza non si sente. Dopo 15 chilometri sono in territorio inesplorato: mai andato oltre. Arrivano anche un paio di acquazzoni violenti, i vestiti mi pesano, le scarpe sembrano pedule di montagna. Regalo la maglia a maniche lunghe ad un bambino che tifa da bordo strada. Realizzo poi che non gli andrà mai: ha almeno tre taglie più di me. Questi pensieri mi distraggono, sono ormai al diciottesimo chilometro e stiamo entrando in Padova. Sempre in compagnia di mio cugino. Sento ancora forza dentro di me e sono anche un po’ fiero. La mia tabella di allenamento non era niente. Scendevo in strada e correvo nel parco finché ne avevo voglia. Ed è questa la chiave: la forza di volontà. Non è mai stata la mia prerogativa finché non si è manifestato il Parkinson. Ogni cosa che faccio vale doppio, triplo, da alzarsi ogni giorno per andare a lavorare a gestire l’emotività alterata. Dunque al diciottesimo chilometro aumento il ritmo per chiudere la corsa in due ore e dieci minuti. Che gioia e felicità che ho provato! Più di altre volte, devo ammettere, quando non mi mancava la dopamina. E d’ora in poi sarà sempre così: sfide relative commisurate a quello che possiamo fare, ma sfide. Sfide e vittorie. Come quando ho ospitato Giovanni, venuto a Milano per un corso di scrittura ma ormai irrimediabilmente aggredito da un tumore: camminava a malapena. Lo accompagnavo in auto alle lezioni da casa mia in porta Venezia alla Centrale: un tragitto di un paio di chilometri. Un pomeriggio mi manda un sms: “Torno a piedi”. Lo ritrovo a casa stanco, veramente stanco nel corpo ma con un senso di vittoria nello sguardo. E pensare che ha corso la maratona di New York. New York appunto! Prossima sfida in memoria di Giovanni e del mio braccio sinistro.
Luca Valenti

La storia di Giancarlo

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E’ il 2006. Da un banale dolore alla spalla scopro di avere la malattia di Parkinson. Ho 57 anni, sono dirigente di banca. La mia vita è incentrata sul lavoro, sulla mia famiglia con una moglie che amo e due figli Marta e Alberto, molti amici e una vita agiata. La malattia è piombata come un’accetta su di me senza farsi annunciare. Ed è a questo punto che ho iniziato a fare qualcosa che non avevo mai fatto prima: l’artista. La manualità e la creatività hanno comunque sempre fatto parte di me. Da bambino avevo la passione per il meccano, mia madre di notte lo smontava perché potessi ricominciare ogni giorno a metterci le mani. Un impulso irrefrenabile mi spinge a creare. Materiali dispersi dalla natura e dall’uomo sono i protagonisti delle mie composizioni che rappresentano, in periodi diversi, il tema della libertà, le relazioni fra le persone, il cosmo. A fare da padrone è il legno, trovato su una spiaggia, appartenuto a un soffitto crollato in un’antica dimora veneziana, o ricavato da una vecchia barca arenata.

L’uso dei chiodi per esempio, incarna la crudezza degli inizi della malattia. Poi è arrivata la passione per i pesci. Domani chissà. Ogni mio quadro racchiude un pensiero, un ricordo o un passaggio nella fase di accettazione della malattia. Attraverso le mie creazioni trovo, più o meno consciamente, strategie e vie di fuga inaspettate che donano la forza di reagire e di continuare a vivere intensamente. Nessuna delle mie opere viene venduta. Tutto è messo all’asta e il ricavato è donato a famiglie in difficoltà o per altri scopi benefici. Dal 2014 sono vicepresidente dell’Unione Parkinsoniani di Padova e attraverso l’attività di volontariato sono continuamente in contatto con tante altre persone con i miei stessi problemi e con tanta voglia di superarli.

Opere di Giancarlo Callegari in arte “gi.Kalle”.

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PENSIERI E PAROLE  
di Beppe Marcotti  

Giunto che sono avanti nel cammino
mi sono ritrovato in un declino
le forze piano piano se ne vanno
e il fisico sprofonda nel malanno
Riaffiorano i ricordi più lontani
e pensi a che destino avrai domani.
Ti guardi allo specchio quatto quatto
e scopri un viso spento e alquanto sfatto.
Eppure un giorno avevo un bell’aspetto!
Possibile sia diventato così brutto?
Ma poi se pensi ai fatti della vita
capisci come è andata la partita.
Ti mancano le forze, strisci il passo
e pensi di essere diventato un masso,
ma poi subentra in toto l’amor proprio
che ti rinfranca il cuore, l’animo e l’occhio.
Ti guardi attorno e noti con piacere
quello che ancora ti resta da godere
per cui giunto che sei a fine fiera
decidi di non ammainar bandiera.
Distogli la tua mente dall’imbroglio
e guardi avanti oltre l’ultimo scoglio
riponi la tristezza nel cassetto
ed esci a camminare per diletto.
Due passi in centro, un giro in bicicletta
ed una breve occhiata alla “Gazzetta”
così che piano piano viene l’ora
di rendere gli onori alla “resdora”.
Ora che qui sono giunto a raccontare
capisco che ormai è l’ora di tagliare
per cui vi dico con un grande inchino
brindiamo insieme a un buon bicchier di vino…

Chi è Beppe… (gli amici della redazione)  
Chi ha scritto questa poesia esprime simpatia, canta, suona, partecipa a tutte le attività sociali, segue il nordic walking, la danzaterapia e il Tai Chi… e soprattutto riesce a far cantare tutti, anche i più ritrosi, accompagnandoli con la chitarra.



LA VITA  
di Carla Pezzani  

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La vita, sublime dono,
l’origine per l’evoluzione dell’uomo.
La natura è vita
che eternamente muta
e si rinnova.
E’ l’alba di una vita nuova,
è la magia di un tramonto,
è il sussurar del vento,
è il tormento che l’uomo porta dentro.
Dopo ogni fallimento,
la forza della vita ci dà sollevamento.
La vita è gioia, è sofferenza,
è prova, è pazienza.
La vita è un dono immenso
dell’amore di Colui
che ci ha fatto figli suoi.
Apri il cuore alla vita.
Ama la vita!

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