Diete personalizzate

DIETE PERSONALIZZATE

 

DIETE PERSONALIZZATE AI MALATI DI MORBO DI PARKINSON

L’ALIMENTAZIONE DEL MALATO PARKINSONIANO

Quali sono i disturbi dell’apparato gastrointestinale del malato parkinsoniano?

I disturbi gastrointestinali che sono più frequenti nei pazienti parkinsoniani, sono:
– Scialorrea (aumento della salivazione)
– disfagia (difficoltà a deglutire)
– nausea
– reflusso gastroesofageo
– anomalie della frequenza dell’alvo (evacuazioni inferiori a tre volte la settimana)
– dischesia (defecazione difficile e dolorosa).
Generalmente, i disturbi gastrointestinali pesano negativamente sulla qualità della vita, poiché possono causare gravi complicanze ed interferenze con il trattamento farmacologico antiparkinson.

I disturbi gastrointestinali perché interferiscono con il trattamento farmacologico antiparkinson?

La levodopa, il farmaco d’elezione della terapia antiparkinson, è una molecola con una breve emivita: una volta assorbita rimane nel sangue per un periodo di 60- 90 minuti.
Sono quindi necessarie assunzioni ripetute di levodopa durante la giornata. L’assorbimento di levodopa non avviene nello stomaco, ma nel duodeno, il primo tratto dell’intestino tenue. I fattori che ritardano lo svuotamento del contenuto dello stomaco nel duodeno, contribuiscono a ridurre l’assorbimento di levodopa.
Un rallentamento dello svuotamento gastrico è, quindi, responsabile di una maggiore permanenza della levodopa nello stomaco: qui l’ambiente acido e gli enzimi prodotti dalle pareti dello stomaco (decarbossilasi) causano la degradazione della levodopa in dopamina. Più a lungo la levodopa rimarrà nello stomaco, più verrà degradata con una riduzione del suo assorbimento da parte del duodeno e, di conseguenza, una minore quantità di levodopa arriverà al cervello perdendo così la sua efficacia terapeutica.
Nello stomaco, inoltre, la dopamina che si libera agirebbe su recettori specifici causando ipotonia delle pareti dello stomaco ostacolando ulteriormente lo svuotamento gastrico.

 

Quali fattori contribuiscono a rallentare lo svuotamento gastrico?

L’iperacidità è una condizione che può rallentare lo svuotamento gastrico, per questo può essere suggerito l’uso di antiacidi e antisecretori di acidi che diminuendo l’acidità gastrica, migliorano l’assorbimento di levodopa. Tuttavia, un uso non controllato di antiacidi causa un’eccessiva neutralizzazione del contenuto gastrico e ostacola la completa dissoluzione delle compresse di levodopa.
Quindi, né il difetto, né l’eccesso di acido nello stomaco favoriscono le condizioni di assorbimento ottimale di levodopa. Anche la stitichezza può, mediante il riflesso colon-gastrico, ritardare lo svuotamento gastrico contribuendo all’irregolare assorbimento della levodopa. D’altra parte l’uso indiscriminato di lassativi, soprattutto quelli che agiscono nell’intestino tenue, può alterare l’assorbimento della levodopa.
Molti fattori dietetici influenzano la velocità di svuotamento dello stomaco: i grassi hanno il tempo di digestione più lungo e sono seguiti dalle proteine, dalle fibre e poi dai carboidrati. Anche alcuni farmaci, per esempio gli anticolinergici, rallentano lo svuotamento gastrico.
Tutti gli alimenti che rallentano lo svuotamento gastrico devono essere assunti lontano dall’assunzione della levodopa (dopo 15-30 minuti).
Un’eccezione a questa regola sono la presenza fastidiosa di nausea dopo l’assunzione di levodopa; in questi casi si consiglia di assumere la levodopa con un piccolo spuntino (cracker e succo di frutta).
Se ciò non risultasse sufficiente si può utilizzare il domperidone (Motilium o Peridon), un farmaco antinausea.
Per valutare un ritardo di svuotamento gastrico è importante anche indagare se il soggetto lamenta reflusso gastroesofageo, spesso segno di ridotta peristalsi gastro-intestinale. E’ consigliabile, inoltre, per favorire un corretto svuotamento gastrico, consumere i pasti durante i periodi di buona motilità (fase “on”).

Come viene assorbita la levodopa?
Le proteine possono interferire con l’efficacia terapeutica del farmaco?

E’ stato osservato che pazienti con gravi fluttuazioni motorie o con accentuati periodi di “off” postprandiale possono beneficiare di una dieta povera di proteine. I pasti, specie se ricchi di proteine, possono interferire sia con l’assorbimento duodenale della levodopa, sia con il suo ingresso nel cervello, contribuendo fenomeno delle fluttuazioni motorie. Le proteine sono scisse a livello intestinale in aminoacidi. La levodopa è anch’essa un aminoacido. L’assorbimento intestinale e il superamento della barriera ematoencefalica da parte della levodopa avviene tramite un sistema di trasporto attivo che è il medesimo utilizzato da altri aminoacidi neutri ad elevato peso molecolare, quali la fenilalanina, la leucina e l’isoleucina. Se questo sistema di trasporto è occupato da altre sostanze non può più trasportare una quantità sufficiente di levodopa al cervello.
Si verifica, quindi, competizione fra levodopa e questi aminoacidi.
Se paragoniamo questo sistema ad un ascensore ed immaginiamo che esso possa essere occupato da altri passeggeri, la levodopa non troverà posto e non potrà salire fino al cervello. Il problema è lieve a livello intestinale dove l’ascensore è ampio, mentre non lo è a livello del cervello dove l’ascensore è più piccolo e più facilmente può essere completo.

Quali criteri allora occorre seguire nell’alimentazione?

Poiché l’assorbimento della levodopa è duodenale e consegue allo svuotamento dello stomaco, è opportuno effettuare più pasti ridotti anziché due o tre pasti abbondanti nella giornata. I pazienti con fluttuazioni motorie possono concentrare tutte le proteine nel pasto della sera oppure distribuire uniformemente l’apporto proteico in tutti i pasti.
Quest’ultima soluzione è forse migliore. Infatti, concentrare tutte le proteine nel pasto della sera può migliorare la performance durante il giorno, ma il beneficio è breve, il cibo risulta meno appagante e spesso occorre ricorrere al dietologo per assicurare il fabbisogno proteico minimo necessario durante la giornata. Bisogna poi tenere anche conto che la proteina stimola la produzione di acido gastrico che facilita la digestione e molte persone anziane ne producono poco.
Va quindi ben valutata, caso per caso, l’assunzione o meno delle proteine nel pasto di mezzogiorno.
La quantità totale giornaliera di proteine non dovrebbe superare gli 0,8 grammi per chilo di peso, circa 60 grammi per una persona di 75 chilogrammi.

Esiste una dieta speciale per il paziente parkinsoniano?

E’ importante che la dieta sia ben bilanciata, piacevole, con carne, pesce, frutta e verdure fresche e abbondanti carboidrati. In sostanza, una buona regola per chiunque. Anche un moderato consumo di vino ad ogni pasto è consentito. Bisogna invece evitare condizioni di ipoalimentazione, in agguato per ogni paziente in età avanzata, con insufficiente apporto calorico ed energetico. L’apporto calorico consigliato è di 25-30 calorie al giorno per chilogrammo di peso corporeo ideale. Nel caso siano presenti movimenti involontari (discinesie) è utile aumentare l’apporto calorico. E’ buona regola controllare il peso corporeo circa una volta la settimana per verificare di non perdere peso.
Solamente se il malato si accorge che il cibo interferisce con l’efficacia della levodopa dovrà moderare l’assunzione di taluni alimenti come, ad esempio, i grassi e le proteine che possono interferire con la levodopa, rallentandone l’assorbimento.

ALIMENTI CHE RITARDANO LO SVUOTAMENTO GASTRICO

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GRASSI ANIMALI

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PROTEINE (CARNE)

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FIBRE

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CARBOIDRATI

LIQUIDI

L’assunzione di un’adeguata quantità di liquidi è raccomandata; l’apporto giornaliero di almeno un litro di acqua previene la disidratazione, cui sono a rischio tutti i soggetti anziani perché con l’età si ha una perdita dello stimolo della sete; l’assunzione di adeguate quantità di acqua aiuta anche a prevenire la stitichezza dovuta alla presenza di feci molto dure (disidratate) e difficili da espellere e le infezioni delle vie urinarie. Una corretta idratazione può aiutare a limitare il fastidio provocato dalla secchezza delle mucose (bocca e occhi). Nei casi di disfagia per liquidi, che dimostrano penetrazione o aspirazione nelle vie aeree, è opportuno ricorrere all’acqua gelificata o all’uso di addensanti.

MINERALI E VITAMINE

Va segnalato che i pazienti parkinsoniani tendono a presentare carenza di alcuni minerali come il calcio, il ferro o di alcune vitamine (D, C, E) il cui apporto supplementare può talvolta essere necessario. Il ferro è importante per prevenire l’anemia; qualora fosse necessario assumerlo per via orale è bene farlo in momenti diversi dall’assunzione di levodopa, perché ne riduce l’efficacia.
Per ridurre il rischio di osteoporosi nell’anziano si raccomandano tra i 1000 e i 1500 milligrammi di calcio giornalieri. Nel morbo di Parkinson chi segue una dieta a basso contenuto di proteine, tenderà a ridurre il consumo del latte. In questo caso andrà attentamente valutato l’esatto quantitativo di calcio consumato ed eventualmente, per colmare l’eventuale carenza, si ricorrerà all’uso di integratori di calcio.
Una dieta bilanciata non dovrebbe avere bisogno di supplementi di vitamine, che assunte in dosi eccessive potrebbero essere addirittura nocive. Ci sono però delle vitamine, vitamina E e vitamina C, ad azione antiossidante (che diminuiscono i radicali liberi), che secondo alcune ipotesi potrebbero rallentare la progressione della malattia di Parkinson, tale ipotesi non è ancora stata dimostrata con sicurezza. Attualmente non è più strettamente necessario evitare l’assunzione di vitamina B6 (piridossina) che ostacola l’assorbimento della levodopa, poiché la somministrazione di carbidopa o di benserazide, associata alla levodopa (Sinemet e Madopar), previene questo inconveniente; si raccomanda tuttavia di non superare i 2 milligrammi di vitamina B6 assunta in un giorno, dose che soddisfa il fabbisogno giornaliero.

GRASSI

I grassi devono essere assunti con moderazione dai pazienti parkinsoniani.
Sebbene l’apporto dei lipidi sia essenziale per garantire un corretto apporto calorico e il rinnovamento delle cellule, è bene non eccedere poiché si è visto che i grassi rallentano lo svuotamento gastrico interferendo con l’assorbimento della levodopa.
Il consumo di colesterolo non dovrebbe superare i 300 mg il giorno; è bene comunque privilegiare l’assunzione di grassi insaturi di origine vegetale.

CARBOIDRATI

Il consumo di carboidrati è raccomandato nei pazienti parkinsoniani; i carboidrati dovrebbero costituire la quota alimentare maggiormente rappresentata poiché forniscono un adeguato apporto calorico, transitano rapidamente dallo stomaco all’intestino e stimolano la produzione di insulina che fa ridurre la concentrazione ematica di aminoacidi (che potrebbero competere con l’assorbimento della levodopa a livello cerebrale).

FIBRE

Per favorire lo svuotamento gastrico si raccomanda di non assumere fibra vicino ai pasti e di evitare il cibo con molte scorie. I malati parkinsoniani che presentano la necessità di svuotare in fretta lo stomaco devono alimentarsi con cibi poveri di scorie e più semplici possibili. In un intestino di tipo atonico come quello del malato parkinsoniano, la fibra si gonfia, forma massa e, a causa della minore motilità intestinale, non viene spinta in avanti rendendo più difficoltosa l’evacuazione e dando fastidio addominale.

L’IMPORTANZA DELLA DIETA IPOPROTEICA NEL TRATTAMENTO ANTIPARKINSON

Per inquadrare correttamente l’importanza del regime dietetico controllato ed, in particolare, di una dieta ipoproteica per i pazienti affetti da morbo di Parkinson occorre, prima di tutto, percorrere la storia naturale della malattia il cui trattamento farmacologico è costituito fondamentalmente da levodopa.
Nella fase iniziale della malattia e per alcuni anni, i sintomi della malattia sono ben controllati dalla levodopa e si arriva perfino a definire questo periodo di “luna di miele” con tale farmaco. I pazienti riescono a trarre dal trattamento un effettivo beneficio terapeutico che si mantiene sostanzialmente stabile nell’arco dell’intera giornata anche se con notevoli variazioni da caso a caso. Purtroppo dopo questo periodo positivo, di durata variabile (in media cinque anni), iniziano a manifestarsi fenomeni complessi (i principali: fluttuazioni motorie e discinesie) legati soprattutto alla progressione della malattia. L’effetto della levodopa diviene strettamente correlato all’orario in cui viene assunta. Si presenta allora la necessità di apportare delle variazioni allo schema terapeutico seguito dal paziente aggiungendo, eventualmente, alla levodopa anche altri tipi di farmaci. L’obiettivo che si vuole raggiungere è di ottimizzare la risposta terapeutica alla levodopa rendendola il più possibile stabile nell’arco della giornata in quanto i benefici che il paziente può trarre dalla somministrazione del farmaco risultano strettamente dipendenti dalla sua concentrazione nel sangue. I pazienti avranno una risposta terapeutica adeguata nel momento in cui la concentrazione della levodopa nel sangue raggiunge un certo valore soglia e di contro perderanno questo tipo di risposta terapeutica allorché il valore soglia non viene più mantenuto.
Di conseguenza tutti i fattori che in qualche modo influenzano la concentrazione della levodopa a livello del sangue potranno interferire con l’effetto terapeutico di questo farmaco.
I problemi connessi all’assorbimento della levodopa divengono fattori critici che possono ostacolare la produzione dell’effetto voluto.
Nel tragitto che intercorre tra l’assunzione della levodopa per bocca e il sito di assorbimento acquisteranno pertanto estrema rilevanza nel determinare la quantità di assorbimento del farmaco (e, quindi, il suo effetto terapeutico) tutti quei fattori che intervengono funzionalmente lungo questo tragitto. Questi fattori vanno ricercati soprattutto a livello dello stomaco e a livello del primo tratto dell’intestino tenue dove avviene l’assorbimento della levodopa. Possono, ad esempio, interferire con l’assorbimento del farmaco (e, secondariamente, condizionare l’effetto del farmaco stesso) tutta una serie di condizioni e di affezioni che interessano le prime vie digerenti (lo stomaco). Un ritardo dello svuotamento del contenuto dello stomaco nell’intestino tenue può ridurre l’assorbimento del farmaco.
Si possono infatti verificare alcune condizioni (un certo tipo di alimentazione, l’uso di particolari farmaci…) che rallentando lo svuotamento gastrico possono condizionare l’assorbimento della levodopa e quindi il suo stesso effetto terapeutico. A livello dell’intestino il discorso è un po’ più complesso. E’ stato accertato che una serie di sostanze introdotte con la dieta (alcuni aminoacidi, costituenti fondamentali delle proteine) interferisce con il sistema di assorbimento della levodopa a livello dell’intestino tenue. Limitano, cioè, il passaggio della levodopa dall’intestino al circolo sanguigno.
Queste stesse sostanze, gli aminoacidi, interferiscono anche durante il passaggio del farmaco dal sangue all’interno del cervello. In altre parole, per essere assorbita la levodopa, che è un aminoacido, ha bisogno di molecole di trasporto che la veicolano attraverso la parete dell’intestino al sangue ed al cervello. Tutto ciò che utilizza lo stesso sistema di trasporto (nel nostro caso gli aminoacidi che vengono introdotti con la dieta giornaliera) entra in competizione con la levodopa e può interferire in ultima analisi con la sua capacità di arrivare al cervello.
Una dieta a basso regime di proteine costituisce una delle tante strategie nella cura della malattia di Parkinson che vale la pena di adottare.
Anche se questo tipo di alimentazione non potrà cambiare radicalmente la risposta alla levodopa potrà, però, portare dei vantaggi migliorando l’assorbimento della levodopa e la sua efficacia nei pazienti in trattamento cronico con la levodopa.

PROF. STEFANO CALZETTI
Neurologo Istituto di Neurologia – Università degli Studi di Parma

UNA CORRETTA ALIMENTAZIONE

L’alimentazione costituisce per l’individuo una necessità vitale: gli alimenti, infatti, apportano da una parte il combustibile necessario per la produzione di energia, che viene espressa in calorie; dall’altra i principi nutritivi in essi contenuti, indispensabili per la crescita ed il rinnovo dei tessuti e dunque per mantenere un buono stato di salute. Questo, infatti, dipende in gran parte da un corretto equilibrio tra i bisogni dell’organismo, che sono funzione di diversi fattori (età, sesso, attività fisica, accrescimento, senescenza, ecc.) e l’apporto alimentare, sia di energia che di principi nutritivi. Ricordiamo che un’ alimentazione corretta, equilibrata e varia contribuisce alla prevenzione di alcune patologie importanti, quali quelle di tipo metabolico, le malattie cardiovascolari ed è ormai dimostrato anche per la prevenzione di alcuni tipi di tumore.
I principi nutritivi (proteine, grassi, zuccheri, vitamine, sali minerali, acqua) contenuti negli alimenti devono essere assunti in modo bilanciato e per ottenere ciò, occorre assumere giornalmente e nella giusta proporzione i cibi da ognuno dei gruppi alimentari fondamentali che sono rappresentati da: carne e pesce, uova, latticini, cereali, frutta e verdura. Se un’ alimentazione corretta costituisce un presupposto importante nei soggetti sani, lo è ancora di più nelle persone affette da morbo di Parkinson.
Questi pazienti sono spesso persone anziane che possono andare incontro, per una serie di fattori psicosociali e fisici derivanti dalla malattia, a malnutrizione. Fra i fattori psicosociali, la depressione e la tendenza ad isolarsi possono comportare sia una diminuzione dell’appetito, sia la perdita di iniziativa: il malato non ha “voglia” di prepararsi i pasti, di uscire di casa per fare la spesa. Questo disagio può essere accentuato dai problemi fisici legati ad una ridotta motilità. Il malato non si muove agevolmente sia in casa che fuori. Cucinare, recarsi al supermarket possono divenire motivo di fatica fisica. Ad accrescere, inoltre, il rischio di una alimentazione insufficiente si possono aggiungere problemi di deglutizione, la lentezza dei movimenti necessari per mangiare, per masticare. Le discinesie (movimenti involontari ripetitivi) infine oltre ad aumentare nel malato la difficoltà ad alimentarsi, possono causare, se accentuate, un aumento del consumo energetico.
Il peso corporeo è il principale indicatore dello stato nutrizionale: una perdita maggiore del 10% in un breve periodo (tre mesi circa) è un segno sicuro di sotto alimentazione (ricordiamo che nel morbo di Parkinson c’è la tendenza a perdere peso).
E’ importate, quindi, per evitare i rischi da malnutrizione, studiare una dieta appropriata per coloro che si trovano in questa condizione.
L’altro aspetto importante della dieta del malato parkinsoniano riguarda il controllo proteico giornaliero consigliato, soprattutto, ai pazienti che fanno uso di levodopa e presentano fluttuazioni motorie (fenomeno “on-off”).
Alcuni studi hanno dimostrato che un pasto ricco di proteine limita l’efficacia della levodopa. Oltre alla competizione fra la levodopa e le proteine per il trasporto del farmaco all’interno del cervello, anche a livello dell’intestino l’assorbimento della levodopa può essere influenzato da altri fattori dietetici: un pasto troppo ricco di grassi o di fibre causa normalmente un ritardo nello svuotamento gastrico come pure un eccesso di acidità gastrica. Più a lungo la levodopa somministrata rimane nello stomaco, più facilmente verrà degradata perdendo la sua efficacia. Anche la stitichezza può influenzare la quantità di farmaco assorbita.
Da queste considerazioni nascono alcune indicazioni dietetiche per migliorare la motilità dei malati parkinsoniani in terapia con levodopa seguendo una dieta bilanciata e caloricamente adeguata al mantenimento del “peso salute” che riassumiamo qui di seguito:
1. Seguire una dieta varia che comprenda ogni giorno gli alimenti descritti nei quattro gruppi alimentari principali.
2. Aumentare le calorie in presenza di discinesie per prevenire una eccessiva perdita di peso, incrementando la quantità di carboidrati (pane, pasta, cereali) e di grassi insaturi (esempio, un cucchiaino di olio di oliva fornisce circa 100 calorie).
3. Per combattere la stitichezza consumare cereali integrati e 4-5 porzioni al giorno fra frutta e verdura. Bere acqua almeno 6/8 bicchieri al giorno.
4. Ridurre i grassi saturi (burro, lardo, salumi, carni grasse, ecc.) e la quantità di colesterolo (non dovrebbe superare i 300 mg. al dì).
5. La quantità di proteine assunte dovrebbe essere pari a 0.8 grammi per chilogrammo di peso corporeo ideale, esempio: una persona con un peso di 70 Kg. dovrebbe introdurre nella giornata 56 gr. di proteine. La distribuzione di queste nella giornata dipenderà dalla gravità della malattia e dallo stile di vita del paziente. Per modeste fluttuazioni le proteine potranno essere suddivise equamente durante il giorno. Per coloro che hanno fluttuazioni motorie più importanti la quantità maggiore di proteine, soprattutto animali (carne, pesce, uova…), andranno assunte la sera, pur con l’inconveniente di una maggiore rigidità.
6. Con la dieta di contenuto proteico controllato (che si traduce spesso in una riduzione dei latticini) si può verificare una ridotta assunzione di calcio. E’ necessario prestare molta attenzione (eventualmente usando degli integratori di calcio) a raggiungere il fabbisogno giornaliero che nell’anziano è di 1000-15000 mg. Anche il ferro può risultare carente nelle persone anziane. Può essere opportuna anche in questo caso una integrazione di questo minerale. E’ stato osservato che l’assunzione di ferro riduce l’efficacia della levodopa. Il paziente parkinsoniano in terapia con levodopa deve, quindi, assumere l’ integratore di ferro ad un orario il più lontano possibile dalla somministrazione di levodopa.
7. Assumere la levodopa da 15 a 30 minuti prima dei pasti per favorirne l’assorbimento.
8. Se il farmaco provoca nausea si può assumere con uno spuntino (una frutta, cracker).
9. Se in concomitanza all’assunzione della levodopa si manifestano discinesie disturbanti, si può assumere il farmaco durante i pasti, in modo da diminuirne l’assorbimento e, quindi, la concentrazione ematica.
Da queste indicazioni si può intuire come diventi importante una valutazione specifica caso per caso nell’impostare una dieta per il malato parkinsoniano che tenga conto delle variazioni individuali e di tutti gli elementi di cui si è parlato.

Dr.ssa Teresa Annese Turrini
Dietista – Parma

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