Proteggere l’autonomia

PROTEGGERE L’AUTONOMIA

 

CONSIGLI UTILI PER VIVERE MEGLIO NONOSTANTE IL PARKINSON

1) I farmaci utilizzati per la terapia della malattia di Parkinson possono essere distinti in dopaminergici e non dopaminergici.
I farmaci dopaminergici attualmente comprendono la levodopa (con carbidopa o benserazide), i dopaminoagonisti (ropinirolo, pramipexolo, rotigotina, cabergolina, pergolide, bromocriptina), gli inibitori MAO-B (selegilina, rasagilina), gli inibitori COMT (entacapone, tolcapone). I farmaci non dopaminergici comprendono gli anticolinergici, l’amantadina, gli antipsicotici (clozapina, quetiapina), la tossina botulinica;

2) La terapia farmacologica è cronica. La sua sospensione determina la comparsa dei sintomi della malattia di Parkinson in tutta la loro espressività;

Proteggere l’autonomia

3) Deve essere cura del paziente e dei suoi familiari fare in modo che la somministrazione dei farmaci antiparkinson avvenga regolarmente agli orari prescritti dal medico curante e/o dallo specialista; infatti, tutti i farmaci possiedono una precisa e definita durata di azione e il mancato rispetto di queste proprietà con somministrazioni irregolari, conduce ad un estrema variabilità delle loro concentrazioni con conseguenti variazioni dello stato clinico del paziente;

4) La levodopa, che è certamente il farmaco più efficace attualmente disponibile per la terapia della malattia di Parkinson, viene assorbita attraverso l’apparato digerente. Le proteine assunte con i pasti interferiscono con il suo assorbimento a livello dell’intestino tenue e quindi riducono la quantità di levodopa a disposizione del cervello. Questo avviene perché sia la levodopa che le proteine utilizzano lo stesso sistema di trasporto: dall’apparato gastroenterico alla circolazione ematica. E’ quindi buona norma assumere la levodopa lontano dai pasti (mezz’ora prima o almeno un’ora dopo). Per i pazienti che presentano fluttuazioni motorie importanti, si consiglia di consumare le proteine solamente nel pasto serale. Lo svantaggio, in questo caso, è di avere un rischio maggiore di blocchi motori alla sera;

5) Lo scopo della terapia farmacologica è di ripristinare il più possibile una normale motilità. Tuttavia è importante che il paziente effettui il più possibile una regolare attività fisica, approfittando magari di quelle ore della giornata in cui si sente meglio. Anche l’esecuzione di semplici esercizi fisici può aiutare a mantenere sciolte le articolazioni e trofici i muscoli;

6) I familiari (salvo in occasioni particolari) non devono continuamente aiutare il paziente. E’ importante infatti che, seppure lentamente, badi a se stesso;

7) Il paziente parkinsoniano non deve mai (salvo problemi particolari) rinunciare ad uscire di casa e questo per due motivi fondamentali:
– ha così la possibilità di usufruire di più ampi spazi per muoversi;
– per non perdere l’occasione di relazioni sociali la cui assenza porterebbe all’isolamento, con gravi ripercussioni sulle funzioni affettive e mentali;

8) E’ indispensabile che il paziente parkinsoniano mantenga i suoi interessi e i suoi hobbies o se ne crei dei nuovi: ciò mantiene vitali e permette di godere appieno dei vantaggi della terapia.

APDA – New York

PROTEGGERE E SALVAGUARDARE L’AUTONOMIA

 

Proteggere l’autonomia

L’obiettivo principale che ci si pone quando si incontra un paziente parkinsoniano è quello di salvaguardarlo e di agevolarlo nell’autonomia e ciò anche attraverso la disponibilità di una struttura abitativa più sicura.
Affinché il malato di morbo di Parkinson possa vivere con maggiore autonomia, sarebbe, quindi, opportuno:
– adattargli strutturalmente l’ambiente abitativo secondo le sue nuove esigenze, determinate dai disagi creatigli dalla malattia;
– fargli acquisire, attraverso l’approccio fisioterapico, specifiche strategie per insegnarli a contrastare volontariamente, sia nella propria abitazione che all’esterno, i propri problemi motori.

OSTACOLI AMBIENTALI

Le difficoltà motorie del malato parkinsoniano richiedono, molto spesso, il ricorso a speciali infrastrutture, arredi ed ausili che siano in grado di facilitare gli spostamenti ed i trasferimenti del paziente nell’ambito domestico.
Da attendibili indagini statistiche risulta che circa il 66% dei casi di fratture (femore, polsi, spalla, traumi cranici, ecc.) sono collegabili ad incidenti domestici.
Alcune delle cause più frequenti di tali incidenti dipendono da:
– zerbini non incassati;
– scarsa illuminazione degli ambienti;
– pavimenti sdrucciolevoli;
– sporgenze non arrotondate;
– maniglie delle porte alle quale si impigliano i vestiti;
– vasche da bagno troppo lunghe e prive di fondo antiscivolo;
– letti eccessivamente alti;
– fili elettrici penzolanti;
– piani di lavoro inadeguati in cucina;
– uso non corretto di scaldini elettrici, stufe a gas, termocoperte.

Queste sono, però, fonti di pericolo facilmente eliminabili adottando opportuni accorgimenti, quali: utilizzare cera antisdrucciolo; togliere i tappeti dalle stanze di passaggio oppure applicare, al di sotto degli stessi, delle strisce antiscivolo; incassare gli zerbini; applicare alle porte maniglie a leva, curvate ed arrotondate; evidenziare e proteggere gli spigoli con appositi paraspigoli; predisporre le fonti di luce in modo che l’illuminazione risulti uniforme, senza zone più o meno illuminate; ecc.
Una particolare attenzione richiede la problematica delle barriere architettoniche intendendo, con questo termine, qualsiasi ostacolo che impedisca o limiti alla persona disabile l’accesso e la piena fruibilità degli spazi abitativi sia urbani che privati. Per maggiore chiarezza indichiamo alcune delle più comuni e diffuse barriere architettoniche: gradini, scale, rampe con pendenza eccessiva; porte e passaggi troppo stretti; ambienti con superficie insufficiente alla manovra di sedie a rotelle (bagni, cucine, disimpegni); ascensori troppo piccoli; altezza eccessiva di telefoni, cassetta delle lettere; ecc.
La normativa vigente (legge 9 gennaio 1989, n. 13) prevede, peraltro, particolari agevolazioni (tra cui finanziamenti a fondo perduto concessi da parte del Comune di residenza) affinché possa essere facilitata la rimozione delle barriere architettoniche esistenti nell’edificio in cui abita il disabile.
Poter vivere, per il malato di morbo di Parkinson, in una abitazione a propria misura e provvista di idonee infrastrutture non potrà altro che facilitare e favorire l’autonomia dello stesso paziente.

OSTACOLI DA FATTORI MOTORI

L’autonomia del malato nell’ambito domestico può, anche, essere seriamente compromessa da fattori di ordine fisico, legati più propriamente alla stessa patologia.
Le difficoltà del paziente, ad esempio, ad oltrepassare una porta, a muoversi in spazi ristretti, ad alzarsi da una sedia oppure dal letto, a camminare speditamente, il verificarsi di improvvisi blocchi motori costituiscono vere e proprie limitazioni a poter svolgere autonomamente le proprie attività quotidiane. Tali difficoltà contribuiscono a rendere il malato, in parte, disabile e non più autosufficiente.
L’adozione di adeguate strategie riabilitative può, però, aiutare sensibilmente il paziente a gestire nel modo migliore queste difficoltà oltreché a preservare la propria autonomia.
Normalmente ciascun paziente individua le strategie a lui più confacenti per superare, con buon esito, i momenti di crisi. Alcuni malati riescono ad ovviare ai fenomeni di blocco motorio stringendo ed aprendo una mano oppure sollevando un ginocchio od, ancora, effettuando dei movimenti pendolari da destra a sinistra. “Guardare lontano” costituisce una altra strategia ritenuta valida ed efficace per il superamento dei blocchi motori.
La retrazione dei muscoli pettorali nonché l’indebolimento dei muscoli delle spalle determinano nel malato parkinsoniano serie difficoltà nella elevazione delle braccia. Tale problema richiede, perciò, uno specifico intervento riabilitativo che impegni il malato alla costante ed assidua effettuazione di determinati esercizi motori aventi la finalità di rafforzare i muscoli del tronco e degli arti superiori. Nell’ambito domestico, poi, sarebbe opportuno installare le mensole ed i mobili pensili ad una altezza standard di non oltre 140 centimetri in modo da poter consentire al paziente una migliore e più agevole presa degli oggetti di maggior uso quotidiano.
La facile faticabilità che lamenta spesso il malato parkinsoniano gli impone di utilizzare e di distribuire razionalmente le proprie energie durante lo svolgimento delle ordinarie attività quotidiane. Imparare, ad esempio, ad effettuare correttamente i cambi posturali (sedersi ed alzarsi da una sedia oppure girarsi nel letto) permetterà al malato di compiere con minore sforzo fisico ed emotivo gli spostamenti consentendogli, in tal modo, di utilizzare e di indirizzare le proprie energie residue verso altre utili attività della vita domestica.
Occorre, pertanto, promuovere al massimo l’autonomia del paziente. A tale proposito, acquista particolare rilevanza l’atteggiamento dei familiari che debbono stimolare il paziente con costanza ed attenzione “al far da sé”, aiutandolo solamente quando sia necessario, evitando di sostituirsi a lui.
La vera disabilità del malato parkinsoniano inizia, infatti, nel momento in cui lo stesso paziente “decide” di rinunciare a svolgere qualsiasi tipo di attività.

PAOLA CORRADI E VINCENZO SILVESTRI
Terapisti della Riabilitazione
Centro Medico Sociale “Don Carlo Gnocchi” – Parma

Qualsiasi quesito che perverrà alla sede dell’Associazione in via Aurelio Saffi, 43 – 43100 Parma –
Tel. 0521 / 23 13 18 – concernente i problemi derivanti dalle barriere architettoniche nelle proprie abitazioni nonché la richiesta di consigli sull’utilizzo degli ausili più idonei alla vita quotidiana, verrà attentamente esaminato da personale appositamente preparato il quale provvederà a fornire una pronta ed adeguata risposta.

QUALCHE PAROLA AI FAMILIARI

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Al fine di poter mantenere il più possibile l’indipendenza, i malati parkinsoniani devono fare da soli tutto ciò che possono, non importa quanto tempo impiegano.
Bisogna adattare i comportamenti e le abitudini di vita alla malattia. Il malato è purtroppo condizionato, nello svolgimento delle proprie attività, dai momenti di blocco motorio e dai momenti di buona motilità che si succedono nel corso della giornata.
I familiari devono, inoltre, tenere presente (anche per evitare frustrazioni al malato) che la mancanza di volontà del proprio congiunto è proprio un effetto della malattia.
A tale scopo è di vitale importanza cercare di mantenere l’indipendenza del malato il più a lungo possibile, continuando a stimolarlo, a renderlo partecipe della vita familiare, ad interessarlo in tutti i modi  possibili.


QUALCHE PAROLA AI PAZIENTI

Dopo l’assunzione del farmaco a base di levodopa, sapete che nelle prossime due/tre ore avrete una migliore mobilità. In queste ore di maggiore capacità motoria vi consigliamo di effettuare anche quelle attività che sono importanti per la cura della vostra persona: lavarsi, pettinarsi, farsi la barba…
In altri termini, è bene che i momenti di buona motilità siano impiegati per gli esercizi di fisioterapia ma anche in tutte quelle attività che vi rendano più presentabili, che vi fanno sentire meglio con voi stessi.
I vostri amici saranno più felici se, venendovi a trovare, vi vedono curati nell’aspetto e di buon umore.

PAOLA CORRADI
Terapista della Riabilitazione
presso il Centro Medico Sociale
“Don Carlo Gnocchi” di Parma

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