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Malattia di Parkinson: Linee Guida 2013
LA MANCANZA DI FONDI RALLENTA I TEMPI PER L’INTERVENTO CHIRURGICO DI STIMOLAZIONE CEREBRALE PROFONDA (DBS)
UNA LETTERA DI UN FAMILIARE CHE INVIAMO AL MINISTRO DELLA SALUTE
Gent.le Presidente dell’Unione Parkinsoniani,
mi chiamo Cinzia e sono figlia di una madre parkinsoniana di 64 anni.
Le scrivo perché oggi abbiamo ricevuto una brutta notizia innanzi alla quale provo indignazione e ho bisogno di trovare aiuto per cambiare il sistema (anche se so che sarà difficile).
Mia mamma è in attesa dell’intervento di stimolazione cerebrale profonda DBS, è seguita a Vicenza ed è in lista d’attesa per l’intervento dei microchip al cervello. Ha fatto gli esami per verificare la sua idoneità a fine settembre e le avevano dato 4-5 mesi di attesa. Quindi attendevamo con ansia e trepidazione febbraio-marzo 2015.
Ieri mamma è stata male (come uno dei tanti giorni da luglio ad oggi) e stamani si è armata di forze e ha chiamato il neurochirurgo per chiedere di poter accelerare i tempi.
Brutto inizio di nuovo anno: il medico le ha spiegato che la sanità non passa gli elettrodi necessari all’intervento per cui attualmente è possibile programmare un intervento al mese, non di più, per mancanza di materiale e strutture. Mamma è quindicesima in lista d’attesa per cui si parlerà dell’estate del 2016….altroché febbraio o marzo di quest’anno.
Il medico ha manifestato la sua indignazione per il sistema sanitario ridotto ai minimi termini e ha suggerito di far forza e sensibilizzazione pubblica con le associazioni parkinsoniane per chiedere di essere ascoltati e aiutati.
Io per questo mi rivolgo a lei e scriverò la stessa mail a più associazioni parkinsoniane: ma perché la sofferenza è solo un costo? come si fa a tenere viva la speranza in questo modo?
Mamma è distrutta e mi chiedo se arriveremo mai al 2016…..
Mi può aiutare? Ci può aiutare? Come possiamo combattere questo sistema? Andiamo a protestare a Roma? chiamiamo le Iene? cosa facciamo?????
Grazie mille, spero in un suo riscontro non risolutivo certo ma di collaborazione…..
Cinzia
OK ALL’ESERCIZIO FISICO
L’esercizio fisico può aiutare le persone con malattia di Parkinson a migliorare l’equilibrio, la mobilità e la qualità della vita e, nei pazienti con malattia lieve, a ridurre le cadute. A dirlo è uno studio pubblicato sulla rivista medica Neurology e condotto dall’Università di Sydney in Australia.
LO STUDIO
Una parte dei 231 pazienti con Parkinson reclutati dai ricercatori ha preso parte ad un programma di ginnastica della durata di sei mesi e composto da tre sessioni settimanali dai 40 ai 60 minuti di esercizi per l’equilibrio e il potenziamento della muscolatura degli arti inferiori. Rispetto ai malati del gruppo di controllo, non partecipanti all’allenamento, il numero di cadute è rimasto inalterato nei pazienti con patologia grave, mentre è diminuito del 70% nei pazienti con una forma lieve di Parkinson. Inoltre, i partecipanti al programma di allenamento hanno riportato anche un umore migliore e una minore paura di cadere. Secondo gli autori dello studio, questi risultati, unitamente al fatto che le sessioni di ginnastica richiedono soltanto la supervisione da parte della fisioterapista, suggeriscono l’opportunità di dedicarsi ad un programma di esercizi fin dalle prime fasi della malattia.
CONSEGUENZE DELLE CADUTE
Sono per la maggior parte persistenti le conseguenze delle cadute cui vanno incontro così di frequente gli anziani, per i quali questi incidenti rappresentano la sesta causa di morte e determinano il 40% dei casi di ricoveri ospedalieri. I dati dicono che oltre un terzo degli anziani over 65 che vive a casa cade ogni anno e nel 50% dei casi si tratta di cadute ricorrenti. Le conseguenze in termini di disabilità più o meno gravi, perdita dell’autonomia e costi per assistenza e cure lo rendono un vero e proprio problema di sanità pubblica.
EQUILIBRIO INSTABILE
Migliorare il proprio senso dell’equilibrio e rafforzare il sistema muscoloscheletrico è molto importante per tutti gli anziani, non solo per i malati di Parkinson. E la danza, anche per la sua componente ludica, può essere una valida soluzione, come ben sanno gli scienziati che ne studiano le possibili applicazioni cliniche.
BALLO: UN ESERCIZIO NATURALE
Un recente studio, pubblicato sugli Archives of Gerontology and Geriatrics, ha analizzato l’effetto della pratica di alcuni balli sugli anziani. I ricercatori hanno studiato un gruppo di 59 brasiliani, di età compresa tra i 60 e gli 80 anni e residenti in tre case di riposo, il cui stile di vita era stato sedentario nei tre mesi precedenti all’inizio dell’esperimento. A trenta di loro è stato chiesto di frequentare un corso di ballo, tre volte a settimana per quattro mesi. Per monitorare gli eventuali progressi degli anziani, i ricercatori hanno stabilito il livello di equilibrio iniziale di ciascuno, misurando la distribuzione della pressione esercitata dal corpo sulla superficie plantare. Con la pratica assidua di foxtrot, valzer, rumba, swing, samba e bolero, si è vista una netta diminuzione del numero di cadute (una sola nel gruppo dei ballerini), mentre nel gruppo dei sedentari la frequenza degli incidenti è rimasta invariata.
BAILAMOS
E’ questo il nome di un progetto, finanziato dagli istituti nazionali di sanità americani (National Institutes of Health, NIH) e guidato dall’Università di Chicago, dedicato alla diffusione del ballo fra i latino americani anziani. Rispetto ai loro coetanei, infatti, essi sono per varie ragioni meno propensi a svolgere attività fisica. Questa sedentarietà è alla base dei maggiori problemi di salute di questa fascia della popolazione statunitense. “Bailamos” intende anche verificare l’influenza della pratica di merengue, cha-cha-cha, bachata e salsa su equilibrio, mobilità e capacità cognitive degli anziani.
L’applicabilità dei risultati di queste ricerche – commentano gli scienziati – non è limitata ai gruppi studiati di volta in volta. Infatti, le scelte di danze e musiche possono venire adattate alle caratteristiche culturali dei vari paesi, ad esempio scegliendo balli che non necessitano di un partner o musiche che gli anziani hanno amato in gioventù, ricordando che i benefici regalati dal ballo si osservano anche in chi – nonostante l’età – è alle sue prime esperienze.
Visualizza articolo del 05/01/2015 da lastampa.it »
CNR – PARKINSON: SCOPERTE LE POSSIBILI TERAPIE PER LE COMPLICAZIONI MOTORIE
25 novembre 2014 – La molecola più efficace per trattare la malattia è ancora la levodopa, che induce però effetti collaterali disturbanti come le discinesie, per motivi ancora oscuri. L’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare del Cnr di Catanzaro, in collaborazione con la Fondazione Santa Lucia di Roma, ha svelato nuovi scenari neurobiologici, dimostrando l’efficacia della neurostimolazione. La ricerca è pubblicata su Brain.
Lo scopo della terapia farmacologica della malattia di Parkinson è compensare il deficit di dopamina, il trattamento principale consiste nella somministrazione di levodopa, molecola che ha la funzione di aumentare la concentrazione di tale sostanza nel cervello, riducendone la tipica sintomatologia.
Il primo periodo di trattamento viene definito honey-moon, perché la maggior parte dei pazienti vive la malattia senza particolari problemi, ma dopo circa 5-10 anni, nell’80% di questi pazienti, insorgono complicazioni motorie chiamate discinesie, caratterizzate da movimenti involontari che possono portare a gravi complicazioni, estremamente invalidanti, le cui cause sono ancora ampiamente oscure e la pratica clinica può intervenire solo modificando il dosaggio di levodopa.
I ricercatori dell’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibfm-Cnr) di Catanzaro, in collaborazione con l’Irccs Fondazione Santa Lucia di Roma, hanno realizzato una ricerca per scoprire cosa accade nel cervello dei pazienti, prima e dopo l’assunzione di levodopa.
Lo studio è pubblicato sulla rivista Brain.
“L’obiettivo del lavoro era scoprire quale alterazione funzionale si registra nel cervello dei parkinsoniani che soffrono di forti discinesie”, afferma Antonio Cerasa, ricercatore dell’Ibfm-Cnr. “Abbiamo compreso che la terapia con levodopa produce una disfunzione di uno specifico network cerebrale nella corteccia frontale inferiore, dove è localizzata una stazione criticamente patologica”.
“A seguito di questa scoperta, si è provato a modulare l’attività disfunzionale di quest’area utilizzando la stimolazione magnetica transcranica”, prosegue Giacomo Koch del Santa Lucia. “Abbiamo così verificato che, inibendo l’attività di questa regione della corteccia prefrontale, è possibile ridurre sensibilmente la gravità delle discinesie”.