PARKINSONISMI ATIPICI
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– I Parkinsonismi
– Distonie nella malattia di Parkinson
– Il Parkinsonismo farmaco-indotto
– I comportamenti stereotipi nella malattia di Parkinson e nei Parkinsonismi degenerativi
– I parkinsonismi atipici
– Parkinsonismi atipici o plus
– La paralisi sopranucleare progressiva (PSP)
– Atrofia multisistemica (MSA)
– Degenerazione corticobasale CBD
– Demenza con corpi di Lewy
– Parkinsonismo vascolare
– Idrocefalo normoteso
Cosa si intende per parkinsonismo?
Sappiamo tutti che i sintomi fondamentali della malattia di Parkinson sono la bradicinesia (rallentamento dei movimenti), l’acinesia (difficoltà ad iniziare il movimento), la rigidità degli arti e del tronco, la presenza di un tremore a riposo e le difficoltà del cammino. Questi ultimi sono sintomi non precoci e compaiono tardivamente nell’evolversi della malattia di Parkinson. Un altro elemento fondamentale per fare la diagnosi di malattia di Parkinson è la risposta positiva e costante al trattamento con la levodopa e con gli altri farmaci dopaminoagonisti. Sono presenti poi nella malattia di Parkinson altri disturbi che non sono strettamente disturbi motori come i disturbi psichiatrici e comportamentali, la compromissione cognitiva, i disturbi disautomatici, i disturbi sensoriali e dell’olfatto.
Nei parkinsonismi che cosa succede?
In genere i parkinsonismi sono malattie per certi versi più complicate della malattia di Parkinson. Presentano i segni fondamentali della malattia di Parkinson, quindi il rallentamento motorio, l’instabilità del cammino ma hanno spesso associati altri disturbi quali, ad esempio, la compromissione cognitiva, i disturbi psico-comportamentali. I parkinsonismi sono curati con gli stessi trattamenti della malattia di Parkinson ma rispondono relativamente poco al trattamento farmacologico proprio della malattia di Parkinson. Per fare una diagnosi corretta tra malattia di Parkinson e parkinsonismo bisogna tener conto della storia e del decorso della malattia che di solito è meno favorevole nei parkinsonismi. Ai classici segni della malattia di Parkinson, nei parkinsonismi si associano spesso altre alterazioni quali quelle della sfera cognitiva e comportamentale, di grado maggiore di quanto non si osservi nel Parkinson e per di più sono più precoci. Anche le modalità della risposta alla cura possono aiutare nella diagnosi.
Un dubbio diagnostico tra malattia di Parkinson e casi di parkinsonismo va posto quando la modalità di esordio non è tipicamente monolaterale o sono presenti sintomi atipici, quando il decorso è rapido ed invalidante, quando non vi è una buona risposta alla levodopa. La TAC (tomografia assiale computerizzata) ma soprattutto la RM (Risonanza Magnetica) sono esami strumentali fondamentali che possono orientare nella diagnosi di parkinsonismo.
Classificazione dei parkinsonismi
I parkinsonismi possono essere suddivisi in due gruppi principali, uno cosiddetto sintomatico o secondario in cui è riconoscibile una causa; l’altro definito primitivo in cui la causa rimane sconosciuta. I parkinsonismi cosiddetti secondari sono classificati in parkinsonismi da farmaci, da neurotossine, post-traumatico, da idrocefalo normoteso, post-encefalitico, associato ad altre malattie neurologiche primitive, dismetabolico. Ne illustriamo alcune forme.
Parkinsonismo da farmaci
I farmaci in grado di bloccare i recettori cerebrali per la dopamina o determinare una deplezione della dopamina presinaptica, svuotando rapidamente tutte le riserva di dopamina, possono indurre un quadro di parkinsonismo poichè in entrambi i casi viene inattivata la trasmissione nervosa nel sistema dopaminergico. Il parkinsonismo da farmaci è un disturbo più spesso provocato da farmaci utilizzati in ambito psichiatrico, in particolare nel trattamento della schizofrenia, ovvero da neurolettici tipici e, in minor misura, atipici i quali hanno minori effetti collaterali extrapiramidali.
Circa il 20% dei pazienti trattati con neurolettici tipici sviluppa un parkinsonismo indotto da farmaci solitamente nel corso dei primi mesi dall’inizio della terapia; donne ed anziani hanno un rischio maggiore di svilupparlo. Con l’avanzare degli anni infatti l’incidenza dei parkinsonismi da neurolettici aumenta; ciò naturalmente è direttamente legato al progressivo depauperamento delle cellule dopaminergiche mesencefaliche che con l’invecchiamento si riducono di numero e rendono i soggetti più sensibili all’azione del blocco dopaminergico indotto dai farmaci neurolettici. Nella maggior parte dei casi, la sospensione del farmaco (quando possibile) porta alla scomparsa del disturbo entro 1-2 mesi, ma può anche accadere che il parkinsonismo persista o addirittura, talvolta, peggiori. Alla luce di tali osservazioni, vari autori hanno ipotizzato che, in una percentuale non trascurabile di pazienti che sviluppano parkinsonismo da farmaci, vi sia una degenerazione dopaminergica preesistente, tale da non poter causare di per sé una sindrome parkinsoniana, ma in grado di favorirne lo sviluppo al momento dell’introduzione del farmaco e di permetterne il mantenimento anche una volta che questo sia stato sospeso.
Soltanto negli anni più recenti l’introduzione di farmaci neurolettici atipici, tra i quali la clozapina (Leponex), l’olanzapina (Zyprexa) e la quetiapina (Seroquel), ha permesso una relativa riduzione di incidenza di questi effetti collaterali, grazie al loro peculiare meccanismo di azione. Altri farmaci potenzialmente in grado di causare un parkinsonismo e di frequente utilizzo nella pratica clinica sono alcuni antiemetici (metoclopramide, sulpiride e derivati), i farmaci che bloccano i canali del calcio (calcio-antagonisti: flunarizina e cinnarizina ad alte dosi), in alcuni casi anche gli antidepressivi SSRI (fluoexetina e altri) e alcuni depletori di amine biogene (reserpina, tetrabenazina).
Parkinsonismo vascolare
Il parkinsonismo vascolare o “parkinsonismo arteriosclerotico” è una patologia cerebrovascolare causata da piccole multiple lesioni ischemiche a livello dei gangli della base che talora passano clinicamente inosservate. E’ quindi il risultato finale di numerosi e molto piccoli ictus ripetuti e silenti che possono essere rilevati attraverso un’esplorazione di Risonanza Magnetica per Imaging (MRI). La prevalenza della sindrome non è perfettamente conosciuta, oscillando in alcuni studi dal 3% al 12% di tutti i casi di parkinsonismo ma secondo altri è ancora più elevata non essendo sempre attentamente ricercata e riconosciuta. È certo che la sua prevalenza e incidenza aumentano con l’età. I fattori di rischio del Parkinsonismo vascolare sono simili a quelli delle malattie cerebrovascolari (ipertensione arteriosa, diabete mellito, probabilmente ipercolesterolemia etc). I pazienti con parkinsonismo vascolare presentano spesso maggiori difficoltà nella deambulazione (alterazioni della marcia e dell’equilibrio) piuttosto che tremore e tendono a mostrare una sintomatologia più grave agli arti inferiori rispetto a quelli superiori (lower body parkinsonism). Alcuni pazienti riportano una brusca insorgenza della sintomatologia o raccontano una storia di lento e graduale deterioramento (i sintomi peggiorano, poi si bloccano per un certo periodo). I fattori di rischio del parkinsonismo vascolare sono gli stessi dell’ipertensione e quindi si può agire anche in termini preventivi. La progressione della malattia può quindi essere spesso ritardata e perfino bloccata controllando i fattori di rischio. Inoltre, il decorso può essere “a scalino” con segni nuovi che appaiono all’improvviso, per esempio l’incontinenza urinaria. Possono associarsi manifestazioni “pseudobulbari (presenza di pianto o riso immotivato) definite pseudo perché i nuclei del bulbo funzionerebbero bene se arrivasse l’informazione giusta, segni piramidali e note di deterioramento cognitivo.
Il Parkinsonismo Vascolare è dunque dovuto ad alterazioni del circolo cerebrale, causa a sua volta di sofferenza della sostanza bianca degli emisferi e di piccole lacune ischemiche. Il quadro clinico è quindi più eterogeneo e se condivide molti segni della forma pura, altri sono diversi. Fra questi alcuni segni neurologici sono facilmente identificabili dal medico di famiglia:
– la palilalia (pronuncia ripetuta): la voce del parkinsoniano è flebile, ma le sillabe sono al posto giusto. Se il paziente ripete le sillabe pronunciate, magari l’ultima, non siamo di fronte a un caso primitivo di malattia di Parkinson e dobbiamo invece pensare a complicanze frontali;
– il segno del grugno: dando qualche colpetto sul labbro superiore il paziente protrude le labbra. È un segno frontale, cosiddetto “arcaico di liberazione”. Se è presente non possiamo fare diagnosi di Parkinson ma di parkinsonismo;
– il grasp: un segno assai prezioso e facile da evocare. Se nel palmo della mano del paziente si pongono due dita, la sua mano si serra in una morsa. Più l’osservatore cerca di liberarsi, più la mano del paziente si serra. Si può avere il dubbio che il paziente faccia questo di proposito, magari per manifestare affetto e simpatia, ma si osserva come l’ordine di non stringere o la distrazione mantengano ugualmente la pressione forzata. E’ molto importante sia dal punto di vista prognostico che terapeutico differenziare il parkinsonismo vascolare dalla malattia di Parkinson. Un elemento importante di distinzione tra le due patologie è che il parkinsonismo vascolare risponde meno alla terapia con levodopa. Il trattamento, infatti, è identico a quello della malattia di Parkinson vera e propria, ma i risultati sono spesso deludenti. La terapia fisica è utile per trattare i problemi di equilibrio. Il parkinsonismo vascolare è una forma abbastanza diffusa di parkinsonismo secondario, per il quale è di fondamentale importanza una corretta diagnosi differenziale rispetto alla malattia di Parkinson idiopatica, vista la diversa progressione clinica, la risposta al trattamento, la potenziale strategia terapeutica di prevenzione secondaria e la prognosi.
Aspetti tipici del parkinsonismo vascolare
• Interessamento prevalente degli arti inferiori
• Base di appoggio larga e movimenti lenti
• Marcata retropulsione (non in avanti o di lato)
• Andatura strascicata a piccoli passi
• Assenza o scarsità del tremore a riposo
• Aumento del tono muscolare di tipo misto (spasticità + rigidità) senza “ruota dentata”
• Micrografia
• Segni pseudobulbari (disartria, disfagia, labilità emotiva)
• Possibili segni piramidali
• Progressione a gradini, piuttosto rapida
• Presenza di fattori di rischio vascolare e di pregressi episodi cerebrovascolari
• Riscontro alla neuroradiologia di lesioni sottocorticali
DIAGNOSI DI PARKINSONISMO VASCOLARE
Il sospetto di “parkinsonismo vascolare” è basato sulla presenza di segni clinici, ma nessuna procedura diagnostica è attualmente adatta per formulare una diagnosi.
Il sospetto clinico si basa su:
– Presenza all’anamnesi di fattori di rischio cardiovascolare in particolare ipertensione arteriosa, diabete, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia, omocisteina;
– Precedenti episodi di stroke cerebrale;
– Parkinsonismo con segni atipici o con predominanza agli arti inferiori e scarsa risposta alla levodopa.
A supporto del dato clinico il neurologo può utilizzare la presenza di lesioni vascolari alla MRI (Risonanza Magnetica per Imaging), ma questo dato non può dirimere il quesito sulla presenza o meno di una concomitante degenerazione del sistema dopaminergico nigro-striatale. La presenza di un normale trasportatore della dopamina (DAT) è suggestivo di un quadro clinico non degenerativo.
Altre forme di parkinsonismo
Anche le malattie metaboliche, alcune epatopatie ed alcune forme da tossicosi alcolica possono presentare un parkinsonismo. Nella lesione del cervello, documentata dalla TAC o dalla RM, tipico è il parkinsonismo da idrocefalo, si può avere un quadro di parkinsonismo. Ci sono inoltre i parkinsonismi ereditari in cui si documenta una ereditarietà di diverso tipo legata a fattori genetici. I parkinsonismi degenerativi atipici sono forme relativamente rare, poco frequenti, con una evoluzione prognostica non buona. I parkinsonismi atipici sono l’atrofia multisistemica (MSA), la paralisi sopranucleare progressiva (PSP), la degenerazione cortico-basale (CBD), Demenza a corpi di Lewy (LBD) e Parkinsonismo vascolare (PV). Contrariamente alla malattia di Parkinson, i parkinsonismi atipici non hanno un trattamento terapeutico efficace.
Conclusioni
Nella diagnosi delle diverse forme di parkinsonismo occorre una relativa competenza trattandosi di patologie spesso non facili da diagnosticare e che richiedono anche una serie di esami
strumentali aggiuntivi. Spero di essere utile nel dare un corretto inquadramento clinico e suggerimenti terapeutici per queste patologie ai pazienti che si rivolgono all’ambulatorio multidisciplinare Sportello Parkinsonismi di Parma.
Floriano Girotti
INCONTRO CON IL NEUROLOGO: LE DOMANDE DEI MALATI E FAMILIARI A 360 GRADI
Risponde Dr. Floriano Girotti
Oltre il Parkinson ho altre patologie (ipertensione, aritmie, dolori articolari). Sono causati dal Parkinson?
Ci sono le cosiddette comorbilità. Andando avanti negli anni c’è la probabilità di sviluppare ipertensione, che si possano avere problemi cardiaci, dolori legati ad una patologia osteoarticolare (artrosi) e ciò indipendentemente dalla malattia di Parkinson.
Mi blocco di fronte ad una porta e non vado più avanti.
Questo è uno dei classici disturbi della malattia di Parkinson. Tra i disturbi della deambulazione è presente il fenomeno del freezing. Quando si deve cambiare il ritmo del passo perchè si incontra un ostacolo, oppure si deve passare attraverso un ambiente ristretto è come se subentrasse all’improvviso una difficoltà che causa questo fenomeno di congelamento dei piedi al suolo e quindi si ha difficoltà a superare l’ostacolo. Questi fenomeni sono quelli che risentono maggiormente dei vantaggi di un buon trattamento riabilitativo.
Alla mia mamma hanno diagnosticato la Degenerazione Cortico-Basale. Il trattamento farmacologico non dà benefici, il suo corpo si sta sempre più atrofizzando. L’unica cosa che i medici ci hanno consigliato è di ricorrere alle cure riabilitative.
La Degenerazione Cortico-Basale è ormai una sindrome che rientra tra i parkinsonismi primitivi a causa sconosciuta. Ma la DCB viene anche inclusa nell’ambito delle patologie delle demenze poichè alcune demenze possono presentarsi con un quadro cortico-basale. Può essere quindi etichettata sia come parkinsonismo sia nell’ambito delle demenze. Purtroppo bisogna dire che le cure sono quelle della malattia di Parkinson ma la risposta è assai modesta e sono cure sintomatiche. E’ una patologia, dal punto di vista dello specialista, interessante anche da studiare per un insieme di aspetti sia motori che cognitivi.
Di fronte ad un caso di Paralisi Sopranucleare Progressiva che presenta una lacrimazione continua ed eccessiva, cosa suggerite per alleviare questo problema e a che punto è la ricerca delle cellule staminali di fronte ai parkinsonismi?
Nella Paralisi Sopranucleare Progressiva PSP a causa della rarità e difetto dell’ammiccamento (ossia dello sbattere delle palpebre) manca quell’effetto di protezione della mucosa dell’occhio e quindi facilmente si va incontro a delle complicazioni. Per le cellule staminali siamo ancora lontani dall’usarle nella malattia di Parkinson. Nella PSP che è una malattia estremamente più complessa non ci sono, al momento, sia la possibilità farmacologica, sia anche la possibilità della stimolazione cerebrale profonda. Alcuni specialisti sono andati a stimolare alcune aree dell’encefalo della PSP con risultati abbastanza modesti.
Per l’intervento di stimolazione cerebrale profonda quali sono le indicazioni?
La stimolazione cerebrale profonda DBS (Deep Brain Stimulation) è una procedura chirurgica moderna che prevede l’inserimento di un elettrodo in un punto definito del cervello che invia impulsi elettrici in grado di ridurre i sintomi motori della malattia di Parkinson. Esiste quasi da quindici anni, funziona, occorre però che i pazienti rientrino nei criteri appropriati di selezione. Questo intervento non è adatto a tutti. Si devono selezionare i pazienti candidati e se le indicazioni sono giuste la risposta è sempre buona. La stimolazione cerebrale profonda consente alla persona di migliorare la qualità di vita e di ridurre il dosaggio complessivo di tutti i farmaci parkinsoniani.
Gli integratori abbinati ai farmaci antiparkinsoniani fanno bene o ci sono delle controindicazioni?
Il termine “integratori” è estremamente vasto. Da dati sicuri su alcune terapie vitaminiche, non sembrano essere così sostanziali nel modificare il quadro clinico della malattia. Tuttavia, se c’è l’indicazione in terapia all’uso di un supplemento nutrizionale per altri motivi, ben venga.
IL BOLERO DI RAVEL È FRUTTO DELLA MALATTIA?
In un articolo pubblicato su European Journal of Neurology, un gruppo di ricercatori ha sostenuto la tesi di una possibile influenza di un disturbo cerebrale sulle ultime composizioni, tra cui il celeberrimo Bolero, del compositore francese Maurice Ravel. Le ultime composizioni di Maurice Ravel sono caratterizzate da una prevalenza dei timbri orchestrali sulla complessità melodica e pare che il timbro sia elaborato principalmente dall’emisfero cerebrale destro, mentre il sinistro, che era quello danneggiato dalla malattia che lo affliggeva, controlla la parte melodica. Il compositore francese Maurice Ravel iniziò a soffrire di una forma misteriosa di demenza progressiva a partire dal 1927, all’età di 52 anni. Egli perse gradualmente la capacità di parlare, di scrivere e di suonare il piano. Ravel compose la sua ultima opera nel 1932 e si esibì per l’ultima volta nel 1933. Morì nel dicembre del 1937.
I neurologi si sono interrogati sulla natura della sua malattia, che molti hanno identificato come morbo di Alzheimer. Francois Boller del Paul Broca Research Centre di Paris, uno degli autori dell’articolo pubblicato su European Jounal of Neurology, sostiene che non poteva trattarsi di Alzheimer poiché i sintomi erano iniziati troppo precocemente e in Ravel la memoria, l’autoconsapevolezza, i comportamenti sociali erano troppo preservati. La tesi di Boller è che probabilmente Ravel soffriva di due condizioni patologiche: un’afasia progressiva primaria, di tipo progressivo, che danneggia i centri cerebrali del linguaggio, residenti nell’emisfero sinistro e una degenerazione corticobasale che provoca la perdita del controllo del movimento. Ravel rimase “prigioniero del suo corpo», afferma Boller: «Non perse la capacità di comporre musica, perse la capacità di esprimerla». Le funzioni deficitarie del compositore, in particolare la perdita del linguaggio, sono quelle che coinvolgono principalmente l’emisfero cerebrale sinistro. Le abilità musicali come la tonalità, la melodia, l’armonia, il ritmo, coinvolgono, invece, aree cerebrali differenti. Boller e colleghi sostengono che due delle ultime composizioni del musicista, il Bolero (1928) e il “Concerto per la mano sinistra” (1930), mostrano gli effetti del danno all’emisfero cerebrale sinistro.
Il Bolero, lontano dall’essere una composizione di una persona affetta da demenza, presenta una notevole complessità ritmica, caratteristica che sembra richiedere abilità a carico dell’emisfero destro, dominio del timbro che diveniva in Ravel ormai predominante. Il Bolero contiene solo due temi, ognuno dei quali è ripetuto otto volte. Ma ha 30 linee sovrapposte e 25 combinazioni diverse di suoni e manca di quella complessità di melodia che contraddistingue le precedenti opere del compositore. Lo stesso Ravel definì il Bolero “una fabbrica orchestrale senza musica”. Allo stesso modo, il “Concerto per la mano sinistra” presenta dei fraseggi più brevi rispetto alle composizioni precedenti di Ravel e ingloba maggiormente il solista nell’orchestra rispetto all’altro suo concerto per pianoforte. Un cambiamento così evidente nella produzione del compositore rispetto al resto delle sue opere, potrebbe essere dovuto ad un deficit esclusivo di alcune funzioni cerebrali rilevanti per le abilità musicali. «Il Bolero occupa una posizione insolita nell’opera di Ravel», concorda Deborah Mawer, ricercatrice musicale della Lancaster University, Gran Bretagna. Ma avverte che è difficile fare una distinzione tra l’evoluzione musicale del compositore e il suo stato mentale progressivamente alterato. Prima della sua morte, Ravel si interessò di meccanizzazione e di macchinari moderni, il che potrebbe essere all’origine della ripetitività del pezzo.
© Nature
DISTONIE NELLA MALATTIA DI PARKINSON
Un trattamento innovativo con tossina botulinica
guidata con elettromiografia dinamica
Michele Rossi, Massimo Bacchini
Fondazione Don Carlo Gnocchi di Parma – Sportello Parkinson e Sportello Parkinsonismi
Presso la Fondazione Don Carlo Gnocchi di Parma esiste un modulo riabilitativo per la diagnosi e la terapia delle distonie in malattia di Parkinson, nello specifico per la sindrome di Pisa e la Camptocormia, con l’inoculazione mirata con Tossina Botulinica.
Nella malattia di Parkinson con il passare del tempo si presentano alterazioni della postura, dell’equilibrio e del cammino quali l’instabilità posturale, il freezing del cammino e i disturbi assiali definiti sintomi “farmaco-resistenti”. Al trattamento medico-chirurgico si associa quindi in maniera crescente il trattamento riabilitativo, visto come parte essenziale nella cura della malattia di Parkinson, in particolare per questi sintomi. La riabilitazione è un processo che ha lo scopo di facilitare e di migliorare il recupero sensitivo-motorio dei pazienti favorendo l’apprendimento di nuove strategie atte a compensare le alterazioni funzionali conseguenti al danno subito. In generale gli obiettivi dell’intervento riabilitativo nella malattia di Parkinson sono stabiliti e pianificati sulla base della stadiazione della malattia e delle condizioni cliniche del paziente (secondo Hohen & Yahr, scala UPDRS). Le anomalie posturali, anche se generalmente si sviluppano in fase tardiva, rappresentano una caratteristica tipica della malattia di Parkinson con coinvolgimento specifico della muscolatura assiale. La postura può subire delle modificazioni sia in quella che viene definita componente strutturale (assiale) con disturbi a carico della colonna vertebrale, sia nella componente di stabilizzazione con perdita dei riflessi posturali e conseguenti disturbi dell’equilibrio. L’atteggiamento in flessione, già descritto da James Parkinson (1817), è caratterizzato da una postura statica in moderata flessione del tronco e delle ginocchia, con gli arti superiori anch’essi semiflessi e addotti ed il capo chino in avanti. Questa postura è certamente quella che maggiormente caratterizza i pazienti affetti da malattia di Parkinson ed è determinata soprattutto dalla rigidità che è infatti a carico della muscolatura assiale, cervicale e prossimale con prevalenza dei gruppi muscolari flessori e adduttori.
I muscoli assiali, cioè vicini all’asse del corpo, comprendono i muscoli della testa, del collo, del torace e dell’addome.
Tra i vari disturbi assiali si possono riscontrare l’atteggiamento in flessione laterale (sindrome di Pisa) e la camptocormia o flessione anteriore del tronco. L’atteggiamento in flessione laterale presenta le medesime caratteristiche di quello in flessione anteriore, ma con uno sviluppo asimmetrico e con caduta laterale del tronco. La sindrome di Pisa, così chiamata perché caratterizzata da un’eccessiva flessione laterale del tronco che si manifesta soprattutto in stazione eretta o seduta, è una forma di distonia atipica rara a carico della muscolatura cervicale e lombare del tronco che si presenta anche come complicanza dei farmaci neurolettici e degli inibitori delle colinesterasi. La flessione laterale del tronco è accompagnata da una lieve rotazione dello stesso sul piano sagittale cioè sul davanti. Tale quadro peggiora con la marcia, tendendo a far girare il soggetto nella direzione opposta al percorso. In questi casi i soggetti che ne sono affetti non percepiscono questo atteggiamento posturale come anomalo.
La camptocormia, descritta da Earle nel 1815 e da Brodie nel 1837, è caratterizzata da un’abnorme postura del tronco con una marcata flessione anteriore di tutto il tratto toraco-lombare della colonna vertebrale. Questo fenomeno ha come caratteristica propria, quella di scomparire completamente quando il paziente assume sia la posizione seduta che quella sdraiata prona. Anche se questi fenomeni sono diversi, sono accomunati dalla poca responsività alla terapia farmacologica, per questo, soprattutto in questi ultimi anni, è cresciuto l’interesse nello sviluppare nuovi protocolli terapeutici come strumento utile per il trattamento di questi sintomi. La poca responsività di questi fenomeni alle metodiche cosiddette tradizionali ha favorito lo sviluppo di nuovi protocolli sperimentali basati anche sull’utilizzo della tossina botulinica abbinata al trattamento riabilitativo.
L’esperienza clinica del Centro Don Carlo Gnocchi di Parma
Nella nostra pratica clinica per la cura della camptocormia e della sindrome di Pisa è previsto un protocollo di simultaneità tra il trattamento botulinico e quello riabilitativo, che costituisce un requisito necessario per la sua efficacia. Per la scelta dei pazienti idonei sono seguiti dei criteri specifici di selezione. Non è quindi un trattamento per tutti, ma per casi ben selezionati. E’ fondamentale differenziare la sindrome di Pisa e la Camptocormia dalla scoliosi e dalla cifosi strutturate. La scoliosi è una deformità che colpisce la colonna vertebrale fino ad incurvarla lateralmente in modo permanente e fisso, creando alterazioni anatomiche non modificabili volontariamente. La sindrome di Pisa e la camptocormia sono disturbi funzionali della muscolatura, non hanno origine strutturale, cioè non riguardano la morfologia ossea della colonna vertebrale (rachide), non sono quindi patologie da confondere con la scoliosi e la cifosi. La flessione della colonna vertebrale nella sindrome di Pisa e nella Camptocormia sono valutate con misure radiografiche di metodica ortopedica e poi quantificate in gradi Cobb, utilizzati per la misurazione della scoliosi. La sindrome di Pisa implica un’inclinazione laterale (in “lateral bending”) della colonna toracico-lombare superiore a 15 gradi Cobb. Nella camptocormia invece la flessione anteriore della colonna vertebrale, deve essere superiore a 45 gradi nel piano sagittale, cioè sul davanti. La flessione del paziente nella sindrome di Pisa viene misurata dal lato del “bending” cioè dal lato dove è curvato, la colonna vertebrale si piega da quella parte, i muscoli della parte controlaterale alla pendenza sono meno potenti, addirittura sfiancati, non riescono a controbilanciare e a raddrizzare la deviazione dovuta alla malattia.
La flessione aumenta in stazione eretta e si riduce o scompare in posizione prona. Lo stesso paziente affetto da camptocormia se disteso sul letto in orizzontale si raddrizza. Ciò sta a significare che la curvatura non è fissata nella colonna vertebrale, cioè a livello osseo, ma a livello muscolare. Il raddrizzamento della colonna vertebrale non si riscontra invece se la persona è affetta da scoliosi strutturate. La sindrome di Pisa e la camptocormia traggono giovamento dalla somministrazione della tossina botulina. La tossina botulinica (BTX) è una neurotossina prodotta da un batterio, il Clostridium Botulinum, in grado di indurre una paralisi muscolare focale, graduale e reversibile. Il meccanismo d’azione è a livello della giunzione neuromuscolare, dove inibisce il rilascio pre-sinaptico di acetilcolina dalle terminazioni nervose. Il razionale del trattamento con tossina botulinica è quello di indurre, nei muscoli iniettati, una “debolezza” sufficiente ad abolire gli spasmi, ma non tale da provocare la paralisi completa.
La riduzione selettiva della contrattilità muscolare dipende dalla dose iniettata di tossina botulinica ed è comunque sempre reversibile. Per il mantenimento del beneficio è indispensabile che il trattamento sia ripetuto nel tempo ad intervalli regolari, generalmente ogni 6 mesi. L’individuazione dei muscoli coinvolti dalla patologia e la scelta di quale tra di essi iniettare con tossina botulinica costituiscono gli aspetti più importanti del trattamento: a ciò si arriva grazie all’elettromiografia dinamica ed alle acquisizioni supportate preliminarmente dal sistema optoelettronico EL.I.Te. – Smart – 3 D (Elaborazione Immagini Televisive), integrato da due pedane dinamometriche. Si sottolinea che lo studio elettromiografico dinamico permette, con elettrodi posti sui muscoli da esaminare, di quantificare in maniera misurabile in dinamica la contrattura muscolare tronco-addominale causa della roto-scoliosi o della torsione laterale (“bending”) o anteriore (“camptocormia) della colonna vertebrale (rachide).
Dopo un primo inquadramento clinico, radiografico e dei fattori cinematici e cinetici del tronco e degli arti inferiori in movimento secondo la metodica EL.I.Te, si seleziona con l’elettromiografia dinamica il sito di inoculazione della tossina botulinica costituito dal fulcro distonico muscolare della colonna vertebrale (rachide) e della parete addominale nel paziente in movimento. Si sottopongono ad inoculazione con tossina botulinica i muscoli paravertebrali profondi della colonna vertebrale, in particolare i multifidi e gli intertrasversari nella sindrome di Pisa ed addominali ed ileo-psoas nella camptocormia. La tossina botulinica seguita immediatamente dal trattamento riabilitativo permette una congrua “finestra” temporale di rilassamento sulla forza contrattile dei muscoli distonici per modificare strutturalmente le masse muscolari. Tale azione consente di aprire un’ulteriore “finestra”, quella riabilitativa, da sfruttare nell’immediato, che permette di sinergizzare sia funzionalmente che morfologicamente l’effetto della tossina botulinica.
L’inoculazione con tossina botulinica nei muscoli iperattivi deve quindi essere in sinergia simultanea con la fisioterapia, che consente di implementare e di stabilizzare gli effetti muscolari generalmente limitati nel tempo della tossina. La nostra esperienza suggerisce che casi selezionati delle suddette patologie (sindrome di Pisa e camptocormia) possano avere un significativo beneficio da una strategia integrata tra concomitante trattamento riabilitativo ed uso della tossina botulinica. Quindi non si tratta solamente di terapia botulinica, ma è la sincronia con la fisioterapia che rende la cura efficace.
DOMANDE e RISPOSTE
Quali sono i criteri seguiti di selezione per indirizzare la persona verso il trattamento con tossina botulinica e fisioterapia?
Per la selezione del paziente idoneo si seguono dei criteri di inclusione che valutano:
– la stadiazione della malattia di Parkinson (secondo/terzo stadio Hoehn Yahr);
– la tipologia della distonia, se è di tipo anteriore oppure laterale;
– se c’è una buona risposta alla levodopa ed alla terapia dopaminergica;
– non devono essere presenti fluttuazioni motorie;
– all’elettromiografia statica ad ago non devono risultare segni di miopatia.
In modo pratico come avviene l’individuazione del sito muscolare in cui iniettare tossina botulinica?
Con l’elettromiografia dinamica sono individuati i muscoli del “bending”, si vanno cioè a scegliere quali sono i muscoli interessati dalla pendenza. Attraverso l’elettromiografia statica ad ago che valuta il livello di iperattività del muscolo misurando la sua attività elettrica si guida l’inoculazione del farmaco; tramite essa si collega con lo schermo del computer un elettrodo di derivazione ad ago infisso nel muscolo e si verifica se l’ago è nel punto giusto. Se il muscolo presenta iperattività, significa che è il muscolo scelto è giusto e sulla guida dell’ago elettromiografico viene iniettato il botulino, il muscolo si rilassa e la colonna vertebrale tende a raddrizzarsi.
La sindrome di Pisa e la camptocormia possono essere quindi trattate con successo mediante la terapia botulinica e la fisioterapia?
Certamente, però nei casi ben selezionati. Con la tossina botulinica si rilassa il muscolo iperattivo ed a questo punto entra in gioco la fisioterapia. E’ come “sghiacciare” la situazione pregressa. La tossina botulinica può, a seconda della sensibilità del paziente o delle complicanze del paziente, durare più o meno a lungo. La fisioterapia si deve inserire per modificare strutturalmente le masse muscolari iperattive. Bisogna inoculare il muscolo da iniettare individuato con l’elettromiografia dinamica però, dopo, se non c’è la fisioterapia ritornano i sintomi originari. La fisioterapia rimane sempre uno dei cardini fondamentali per curare i pazienti con questi disturbi. Non ci stancheremo mai di ribadire che la fisioterapia è fondamentale. Purtroppo i risultati della fisioterapia non sono durevoli e questo ci dà qualche problema. Esiste quindi un asse virtuoso tra tossina botulinica e fisioterapia.
Il parkinsonismo farmaco-indotto rappresenta la forma più frequente di parkinsonismo (4-6,8% di tutti i parkinsonismi) dopo la malattia di Parkinson ed è conseguente all’esposizione più o meno prolungata a farmaci che solitamente appartengono alla categoria degli agenti bloccanti i recettori dopaminergici, ampiamente utilizzati sia in ambito psichiatrico (antipsicotici tipici e atipici), sia come sintomatici per il trattamento di nausea, vomito e vertigini (metoclopramide, proclorperazina, cinnarizina). L’incidenza è pari al 15-20%. I fattori di rischio sono il sesso femminile, l’età avanzata, la potenza e il dosaggio del farmaco. Dal punto di vista clinico, il parkinsonismo farmaco-indotto assomiglia sotto molti aspetti alla più comune malattia di Parkinson, presentando una variabile combinazione di sintomi quali lentezza nei movimenti (bradicinesia), rigidità muscolare e tremore a riposo. Alcune caratteristiche ritenute tradizionalmente “tipiche” quali l’assenza di tremore e la simmetria dei sintomi all’esordio non sono in realtà costantemente presenti, mentre la co-presenza di altre complicanze farmaco-indotte (movimenti involontari soprattutto a livello buccale, definiti discinesie tardive, presenti nel 25-40% dei casi) può essere d’aiuto nel differenziare questa forma di parkinsonismo dalla malattia di Parkinson.
Il parkinsonismo farmaco-indotto si sviluppa nel 50-70% dei pazienti entro il primo mese dall’inizio del trattamento e nel 90% entro 3 mesi. Nella maggior parte di casi (60- 70%) la sospensione del farmaco (se resa possibile dalla relativa stabilità della malattia psichiatrica di fondo) porta alla scomparsa del disturbo entro 2 mesi. In questi casi il parkinsonismo è indotto dal blocco di alcuni recettori della dopamina da parte del farmaco che il paziente sta assumendo. Tuttavia, in una non trascurabile percentuale di pazienti può accadere che il parkinsonismo persista o, talvolta, peggiori anche dopo la sospensione del farmaco. A tal riguardo, alcuni studi hanno dimostrato che in questi pazienti il parkinsonismo è dovuto anche ad una concomitante degenerazione dei neuroni che producono dopamina, similmente a quanto avviene nella malattia di Parkinson. Il trattamento del parkinsonismo farmaco-indotto non è ancora ben definito. In presenza di parkinsonismo moderato-severo, la strategia di prima scelta è quella di sospendere o ridurre il/i farmaco/i antipsicotici che hanno determinato i sintomi motori. Tuttavia, questo non è sempre possibile, a causa della malattia psichiatrica di base; inoltre, non sempre vi è una significativa riduzione dei sintomi a breve termine. Una altra possibilità è sostituire l’antipsicotico tipico con un antipsicotico atipico, mentre sui farmaci anticolinergici (che vengono ampiamente utilizzati in questi casi, tanto dagli psichiatrici quanto dai neurologi) non vi sono evidenze di efficacia. Recentemente, è stato riportato che un trattamento cronico con levodopa a basso-medio dosaggio può determinare un miglioramento della sintomatologia motoria, in assenza di effetti collaterali psichiatrici, soprattutto in quei pazienti in cui il parkinsonismo è provocato anche da una concomitante degenerazione dei neuroni che producono dopamina. Sebbene questi risultati debbano essere confermati in un più ampio campione di pazienti, il trattamento con levodopa potrebbe essere considerato nella gestione di questo subset di pazienti affetti da parkinsonismo farmaco-indotto.
La definizione di stereotipie motorie considera le stereotipie come movimenti involontari, semivolontari bene coordinati, ripetitivi, ritmici con apparente intenzionalità in una condizione di normale coscienza. Più recentemente è stata proposta una nuova definizione, allo scopo di risultare di utilità clinica, che indica le stereotipie come movimenti strutturati non mirati ad uno scopo che si ripetono continuativamente nello stesso modo in occasioni diverse e che appaiono distraibili.
Le stereotipie motorie interessano vari distretti corporei quali:
1. Capo (es: oscillazioni ritmiche del capo, posture anomale distoniche);
2. Volto (es: movimenti ripetitivi della lingua, delle labbra, smorfie);
3. Apparato fonatorio-articolatorio (es: emissione di grugniti, sbuffi, fischi, grida, parole ripetute);
4. Arti superiori (es: sfregamento e scuotimento delle dita delle mani, toccamento di varie parti del corpo);
5. Tronco (es: oscillazioni e dondolii ritmici del tronco);
6. Arti inferiori: (es: alzarsi e sedersi ripetutamente, camminare avanti ed indietro).
Possono essere presenti nell’infanzia in condizioni di normalità e tendono a regredire solitamente nell’adolescenza ed in età adulta.
Si devono differenziare da altri disturbi del movimento quali: tics motori, discinesie coreodistoniche, sindrome delle gambe senza riposo, acatisia.
Sono inoltre presenti in diverse malattie psichiatriche, nelle forme di insufficienza mentale ed in condizioni di deprivazione sensoriale come cecità ed isolamento in prigionia.
Nelle patologie neurodegenerative sono particolarmente frequenti nella Demenza fronto-temporale (FTD), nella malattia di Parkinson (PD), in altri parkinsonismi degenerativi ed in varie sindromi coreiche.
Per la demenza fronto-temporale le stereotipie rappresentano uno dei criteri diagnostici fondamentali che contribuiscono al corretto inquadramento nosografico. Si è visto, tuttavia, nella ricerca clinica degli ultimi vent’anni, che alcuni comportamenti stereotipi-ripetitivi risultano relativamente frequenti anche nella malattia di Parkinson trattata con L-Dopa e Dopaminoagonisti. Ci riferiamo al fenomeno del Punding (termine preso dalla lingua svedese dello psichiatra che lo descrisse per primo e che significa testa bloccata). Il Punding si
caratterizza per un’attività motoria ripetitiva con intensa attrazione per la raccolta e la manipolazione di oggetti fonte di interesse per il paziente.
Altri aspetti simili al Punding sono osservati in pazienti parkinsoniani sotto l’effetto della terapia dopaminergica e comprendono l’accumulo di oggetti di scarso valore, l’impegno eccessivo in attività fisiche ripetitive e l’uso prolungato di internet.
Si è notato, in studi clinici osservazionali, che questi comportamenti stereotipi sono in relazione con l’uso più elevato di L-Dopa e soprattutto di farmaci Dopaminoagonisti, sono associati ai disturbi del controllo degli impulsi e sono anche in relazione ad una alterazione delle funzioni cognitive-esecutive.
Si è inoltre compreso che la sospensione o la riduzione dei farmaci Dopaminoagonisti diminuiva l’incidenza dei comportamenti stereotipi ripetitivi come pure l’incidenza dei disturbi del controllo degli impulsi. Abbiamo studiato (Ref. 1) gli aspetti dei comporta menti stereotipi in una casistica relativamente numerosa di pazienti con decadimento cognitivo che comprendeva soggetti con Malattia di Alzheimer (AD), soggetti con demenza frontotemporale (FTD), soggetti con malattia di Parkinson e decadimento cognitivo (PD-D) soggetti con paralisi progressiva sopranucleare (PSP).
Abbiamo utilizzato una scala clinica che misurava la frequenza e la gravità dei comportamenti stereotipi in varie attività quali:
1. Mangiare-cucinare (es: mangiare sempre gli stessi alimenti, cucinare sempre gli stessi piatti);
2. Vagabondare-girovagare (es: muoversi incessantemente avanti ed indietro, seguire sempre gli stessi percorsi);
3. Parlare-linguaggio (es: ripetere sempre le stesse parole, le stesse frasi, le stesse canzoni);
4. Movimenti semplici e complessi-gesticolare (es: eseguire sempre gli stessi gesti o gli stessi automatismi motori);
5. Ritmi giornalieri (es: mangiare sempre alla stessa ora, uscire di casa ad orari fissi).
Abbiamo visto che la percentuale (vedi fig. 1) più alta di comportamenti stereotipi era osservata nei PD-D (malattia di Parkinson con decadimento cognitivo) e nei pazienti con FTD (demenza frontotemporale).
Percentuali elevate si osservavano anche nei pazienti con paralisi sopranucleare progressiva (PSP) mentre percentuali inferiori erano presenti nei pazienti con malattia di Alzheimer (AD).
Una piccola percentuale di soggetti normali di controllo (10% circa) presentava pure comportamenti stereotipi ripetitivi. Una ulteriore valutazione ha evidenziato che i pazienti con FTD presentavano una maggiore incidenza di due o più comportamenti ripetitivi nello stesso soggetto. Le stereotipie motorie semplici e complesse risultavano le manifestazioni più frequenti in tutti i quattro gruppi di pazienti studiati.
Nella tabella (figura 2) sono riportati alcuni esempi di comportamenti stereotipi ripetitivi osservati nei pazienti.
In un secondo studio (Ref.2) abbiamo confrontato un gruppo più numeroso di pazienti con FTD e PSP con una batteria di test mirati anche ad una analisi cognitiva e psicocomportamentale.
Dal confronto è emerso che FTD e PSP presentavano un profilo cognitivo e comportamentale simile con i pazienti PSP che si dimostravano più depressi mentre i pazienti con FTD apparivano più disinibiti e meno critici.
Le stereotipie erano simili nelle due popolazioni anche se i soggetti con FTD mostravano una maggiore frequenza di comportamenti stereotipi nelle abitudini alimentari. I pazienti con PSP avevano peraltro una maggiore consapevolezza del disagio derivante dalla inadeguatezza dei comportamenti stereotipi ripetitivi apparentemente senza scopo.
Conclusioni
Alcuni punti possono essere sottolineati dagli studi di ricerca clinica. Le stereotipie sono frequenti nelle patologie neurodegenerative soprattutto nella FTD ma anche nella malattia di Parkinson e nei parkinsonismi degenerativi (PSP). Nella malattia di Parkinson, con o senza decadimento cognitivo, le stereotipie sono attivate dall’effetto della stimolazione farmacologica dopaminergica e la riduzione della terapia dopaminergica attenua l’incidenza dei comportamenti stereotipi. La PSP presenta un profilo cognitivo e comportamentale simile alla FTD con più rilevante consapevolezza del disagio causato dai comportamenti distorti. Una ultima considerazione va fatta per questi pazienti con rilevanti problemi cognitivi e motori. Anche se i comportamenti stereotipi appaiono superficialmente senza scopo e senza una precisa finalità non si può escludere che tali manifestazioni risultino gratificanti per il paziente, contribuiscano ad attenuare l’ansia della parziale limitazione motoria ed aiutino a colmare il vuoto di stimolazioni sensoriali ed occupazionali in cui sono spesso costretti a vivere i malati con grave disabilità motoria e cognitiva.
Comportamenti stereotipi
– Mangiare sempre gli stessi alimenti alla stessa ora.
– Camminare incessantemente avanti e indietro sempre nello stesso percorso.
– Uscire di casa frequentemente con il cane.
Citazioni Bibliografiche
J Neurol. 2012 Nov;259(11):2452-9. doi: 10.1007/s00415-012-6528-0. Epub 2012 May 31.
Stereotypic behaviors in degenerative dementias. Prioni S1, Fetoni V, Barocco F, Redaelli V, Falcone C, Soliveri P, Tagliavini F, Scaglioni A, Caffarra P, Concari L, Gardini S, Girotti F. Cortex. 2018 Dec;109:272-278. doi: 10.1016/j.cortex.2018.09.023.
Epub 2018 Oct 11.
Stereotypic behaviours in frontotemporal dementia and progressive supranuclear palsy.
Prioni S 1, Redaelli V1 , Soliveri P1, Fetoni V2, Barocco F3, CaffarraP 3, Scaglioni A4 , Tramacere I5 , Girotti F6.
I PARKINSONISMI ATIPICI
Dr. Augusto Scaglioni – Neurologo parkinsonologo
Azienda ASL Parma – U.O. Ospedale di Vaio-Fidenza (Parma)
L’allungamento della vita media ha portato ad un incremento delle malattie neurodegenerative.
La malattia di Parkinson è seconda per frequenza solo alla demenza di Alzheimer. Nonostante che i criteri diagnostici per la malattia di Parkinson siano ben codificati ed universalmente accettati, la diagnosi è talvolta difficile e può essere confusa con i parkinsonismi atipici.
Questo gruppo eterogeneo di malattie, denominate un tempo Parkinson-plus per la presenza di un sintomo o segno ulteriore rispetto alla malattia di Parkinson, comprendono l’Atrofia Multisistemica (MSA), la Paralisi Sopranucleare Progressiva (PSP), la Degenerazione Cortico Basale (CBD), la Demenza a corpi di Lewy (DLB), il Parkinsonismo vascolare (PV).
La loro frequenza è bassa con una prevalenza per le diverse forme che non supera i 5 casi su 100.000, eccetto che per la Demenza a corpi di Lewy che conta per il 15-20% di tutti i casi di demenza. I primi report clinico-patologici sono presenti già nella letteratura scientifica degli anni ‘60, ma bisogna arrivare fino alla metà degli anni ‘90 per una migliore definizione dei criteri diagnostici, validati e supportati dalle conoscenze della comunità scientifica internazionale.
Questo ha permesso un maggior riconoscimento di queste patologie negli ambulatori specializzati che si occupano di malattie del sistema extrapiramidale.
Tuttavia, nonostante i recenti progressi e la diffusione dei criteri nosologici, la diagnosi è spesso difficile e necessita di personale esperto che abbia conoscenza ed accesso a tutte le più moderne metodologie diagnostiche.
Da lavori presenti in letteratura si può extrapolare che nei Centri altamente specializzati in malattia di Parkinson e parkinsonismi la percentuale di errore nella diagnosi non supera il 10-15% dei casi totali. I parkinsonismi atipici non rispondono purtroppo alla terapia dopaminergica come la malattia di Parkinson idiopatica.
Alcuni sintomi possono tuttavia trarre giovamento da altre strategie terapeutiche, come il trattamento con tossina botulinica o la fisioterapia con riduzione della disabilità del paziente e della sintomatologia dolorosa che alcune posture provocano. Questi interventi sono tanto più efficaci se eseguiti tempestivamente, cioè prima che si manifestino retrazioni muscolari o posture coatte legate alla malattia.
La riabilitazione motoria è di vitale importanza, poiché le forme di parkinsonismo atipico mostrano una risposta scarsa alle comuni terapie farmacologiche utilizzate nella malattia di Parkinson.
Il vostro medico può avervi detto che non siete affetto dalla malattia di Parkinson ma da un “parkinsonismo atipico” oppure dalla “sindrome di Parkinson” o dal “Parkinson plus”.
Che cosa è la “sindrome di Parkinson”?
Con sindrome si intende, in medicina, un insieme di sintomi e segni clinici (quadro sintomatologico) che può essere dovuto a più malattie o a più eziologie (cause). Spesso, erroneamente, si intende con sindrome un quadro la cui causa non è nota.
A complicare le cose, il termine sindrome viene utilizzato spesso per indicare una malattia rara (la cui eziologia è spesso ben precisa), proprio perché il quadro sintomatologico è di difficile interpretazione.
Si definisce “malattia„ un’alterazione dello stato fisiologico dell’organismo, capace di ridurre, modificare negativamente o persino eliminare le funzionalità normali del corpo. Lo stato di malattia può essere dovuto a molte cause diverse: fondamentalmente esse possono essere interne od esterne all’organismo. Tra le cause esterne, tutte le forme di traumatismo, alcuni organismi viventi unicellulari o pluricellulari, virus, sostanze chimiche, fenomeni fisici.
Per esempio, le sindromi simil-influenzali che provocano febbre, dolori muscolari, tosse ed emicrania, possono essere il risultato di diverse malattie, solo una delle quali potrebbe essere un’infezione provocata dal virus influenzale. Similmente la combinazione dei sintomi riguardanti la lentezza, la rigidità muscolare, il tremore e l’alterazione dell’equilibrio viene denominata “sindrome di Parkinson” o “parkinsonismo”.
La malattia che causa più comunemente questi sintomi è infatti la “malattia del Parkinson”.
La malattia di Parkinson è definita rigorosamente come parkinsonismo specifico associato alla perdita graduale di determinati gruppi di cellule nervose della sostanza nera nel cui interno si sviluppano sfere microscopiche denominate corpi di Lewy.
Il parkinsonismo può essere causato anche da altre malattie oltre che dalla malattia di Parkinson.
La maggior parte di queste però causano altri segni e sintomi oltre a quelli caratteristici della malattia di Parkinson, ecco perchè sono denominate “Parkinson plus„ o “parkinsonismi atipici.„
Per parkinsonismi atipici o parkinsonismi plus si intendono quindi un gruppo di malattie neurodegenerative che hanno in comune alcune caratteristiche con la malattia di Parkinson, ma si caratterizzano per la presenza di sintomi/segni neurologici addizionali e una diversa evoluzione. Essi sono più rari nella malattia di Parkinson, hanno una più rapida evoluzione e una prognosi più severa.
Tra le malattie degenerative del sistema nervoso centrale che possono presentare una stretta somiglianza clinica con la malattia di Parkinson vanno ricordate:
– la paralisi sopranucleare progressiva (o malattia di Steele-Richardson-Olszewski) PSP;
– l’atrofia multisistemica MSA;
– la degenerazione corticobasale CBD;
– la demenza con corpi di Lewy;
– il parkinsonismo vascolare PV.
La paralisi sopranucleare progressiva (Steel-Richardson-Olzewsky) è caratterizzata da parkinsonismo associato a:
– paralisi di verticalità dello sguardo
– paralisi pseudobulbare
– sindrome frontale
– Nel parkinsonismo della PSP, vi è un netta prevalenza della instabilità posturale con marcata presenza di cadute entro il primo anno di esordio della malattia.
– Raramente questa forma risponde al trattamento con levodopa.
Il più comune parkinsonismo atipico è la “paralisi supranucleare progressiva” o PSP.
Sembrano esserci almeno 20.000 casi diagnosticati di PSP negli Stati Uniti, mentre la stima di persone affette dalla malattia di Parkinson è di oltre un milione. Tuttavia, i neurologi ritengono che le persone ammalate di PSP potrebbero essere anche molte di più a causa di diagnosi non corrette o addirittura rimanere senza diagnosi.
Ciò non sorprende perché questa malattia si manifesta in modi diversi e può essere confusa con altre patologie.
I sintomi insorgono generalmente dopo i 50 anni e progrediscono più rapidamente di quanto non avvenga nella malattia di Parkinson.
L’aspetto atipico di questa malattia è dovuto ai seguenti motivi:
– la cura che risulta più efficace nel morbo di Parkinson di solito non è di alcuna utilità nella PSP e talvolta è anche controproducente a causa degli effetti collaterali. E’ possibile una modesta e variabile risposta alla terapia antiparkinson in fase iniziale di malattia;
– i problemi alla vista. L’anomalia più caratteristica riguarda il movimento degli occhi ed in particolare la paresi verticale dello sguardo, che limita la mobilità oculare verso l’alto che verso il basso (questa ultima limitazione è più significativa). I pazienti tendono a cadere spesso dalle scale proprio a causa della difficoltà nel guardare verso il basso. Il caratteristico sguardo alla Monna Lisa e la riduzione dei movimenti oculari non si trovano di solito nel Parkinson;
– la rigidità muscolare e postura del collo e del tronco in estensione;
– la perdita di equilibrio e cadute improvvise (di solito all’indietro) già all’inizio della malattia mentre l’instabilità posturale e le cadute sono caratteristiche tardive nel morbo di Parkinson;
– con l’avanzare della malattia aumentano le difficoltà di deglutizione e dell’articolazione delle parole. Sia nella malattia di Parkinson che nella PSP si manifesta una difficoltà nell’eloquio, ma nella PSP c’è più un tono gutturale, mentre nel morbo di Parkinson la parola è sussurrata;
– nel Parkinson i pazienti presentano tremori agli arti superiori cosa rara nella PSP.
La maggior parte di questi sintomi possono presentarsi nella malattia di Parkinson, ma non con l’intensità o la frequenza con cui compaiono nella PSP.
Quindi, sebbene ci si riferisca alla PSP come Parkinson plus o forma di parkinsonismo, in realtà si tratta di due patologie distinte con sintomi diversi.
L’autopsia rivela che il cervello di un malato di PSP differisce da quello di un malato di Parkinson. In quest’ultimo ci sono caratteristici depositi nel cervello chiamati “corpi di Lewy” (inclusioni cellulari con accumuli di proteine presenti nella sostanza nera), mentre nella PSP sono presenti grovigli neurofibrillari che contengono una proteina chiamata “tau”.
Questi grovigli (tangle) sono simili a quelli riscontrati nei malati di Alzheimer, ma in una collocazione cerebrale diversa. Non esiste un trattamento terapeutico specifico per la PSP.
Possono essere d’aiuto misure di sostegno come le terapie fisiche e del linguaggio, oltre a quelle antidepressive.
Un’altra forma di parkinsonismo atipico è l’“atrofia multisistemica„ o MSA.
La MSA è una malattia neuro-degenerativa la cui causa è attualmente sconosciuta. Neanche gli studi genetici hanno rivelato alcuna relazione che predisponga alla MSA. La malattia si manifesta intorno ai 50 anni.
Nelle fasi iniziali può risultare difficoltoso distinguerla dalla malattia di Parkinson, ma è molto meno comune e progredisce più velocemente. E’ caratterizzata dall’interessamento di più sistemi nervosi (come definito dal nome), per esempio il sistema extrapiramidale (classicamente coinvolto nella malattia di Parkinson), il sistema cerebellare, il sistema nervoso autonomo o vegetativo, il sistema piramidale. Nella malattia di Parkinson invece la perdita di cellule cerebrali si verifica nella substantia nigra.
Nell’Atrofia multisistemica la comparsa e la distribuzione di alcuni segni e sintomi è quindi diversa rispetto alla malattia di Parkinson.
I sintomi possono variare, da persona a persona, come modalità di insorgenza, associazioni di segni/sintomi e quindi interessamento dei diversi sistemi nervosi, gravità e velocità di progressione.
In particolare, nella atrofia multisistemica i disturbi motori sono simmetrici e a progressione rapida, l’instabilità posturale compare molto precocemente, vi sono inoltre segni di sofferenza del cervelletto che causano disturbi dell’equilibrio e della coordinazione motoria.
Per questo motivo nella atrofia multisistemica sono riconosciuti due sottogruppi a seconda se prevalgono i disturbi parkinsoniani (MSA-P) o cerebellari (MSA-C).
Un altro aspetto che identifica la MSA è la disfunzione del sistema nervoso vegetativo con la comparsa di ipotensione ortostatica con diminuzione della pressione arteriosa dal passaggio dalla posizione sdraiata a quella eretta, di grado tale da causare vertigini, sensazione di svenire, offuscamento della vista con possibili cadute, alterazioni della funzione vescicale, impotenza nell’uomo, difficoltà nell’articolare le parole e nel deglutire, labilità emotiva.
I pazienti con MSA possono anche sperimentare apnee durante il sonno, stridor diurno o notturno, comparsa o peggioramento del russamento e sospiri inspiratori o rantoli involontari durante il giorno.
La sindrome Shy-Drager, la degenerazione striato-nigrale e l’atrofia olivopontocerebrale sono definite atrofie multisistemiche in quanto coinvolgono contemporaneamente diverse aree cerebrali.
L’atrofia multisistemica progredisce nell’arco di alcuni anni, fino a divenire gravemente disabilitante, interferendo con le attività di ogni giorno. La diagnosi è clinica, supportata dagli esami strumentali.
In questa malattia non vi sono ancora trattamenti validi. I sintomi parkinsoniani possono rispondere alla levodopa in fase precoce, ma tale risposta è incompleta e di breve durata. Alcuni sintomi, soprattutto quelli a carico del sistema nervoso vegetativo, possono essere parzialmente controllati, in particolare l’ipotensione (fludrocortisone), i disturbi urinari (oxibutinina cloridrato) e le disfunzioni intestinali (cisapride).
La MSA, istopatologicamente, è caratterizzata dalla presenza di perdita neuronale, gliosi ed inclusioni citoplasmatiche oligodendrogliali contenenti la proteina alfa-synucleina (GCIs)1,2 in determinate strutture cerebrali ma, rispetto alla malattia di Parkinson, esse sono diverse dai corpi di Lewy.
ATROFIA MULTISISTEMICA MSA sono presenti le seguenti forme:
– a prevalente espressione cerebellare (atrofia olivo-ponto-cerebellare MSA-C) che causa una perdita di neuroni nel tronco encefalico e nel cervelletto. Insorge ad un’età media oltre i 50 anni e mostra un’evoluzione veloce. I pazienti tendono a manifestare deficit delle capacità di coordinamento e mancanza delle percezioni tattili.
– a prevalente espressione parkinsoniana (degenerazione striato-nigrica MSA-P) che è caratterizzata da parkinsonismo ma senza molto tremore e con scarsa risposta all’associazione levodopa + carbidopa. Quest’ultima forma può essere difficilmente distinguibile dal morbo di Parkinson.
– nella sindrome Shy-Drager, il parkinsonismo e le anomalie del sistema nervoso autonomo sono evidenti in forma rilevante.
Presenta un parkinsonismo asimmetrico con:
– afasia precoce
– aprassia progressiva
– postura distonica
– sindrome dell’arto alieno (50%)
– disturbi della sensibilità
– relativa conservazione iniziale delle funzioni cognitive con sviluppo successivo di demenza con sintomi frontali
La degenerazione corticobasale è una rara malattia neurodegenerativa, a causa sconosciuta, rapidamente progressiva che si configura sul piano clinico come sindrome acinetico-rigida asimmetrica. Inizialmente interessa un solo lato del corpo. Ciò è vero anche per la malattia di Parkinson ma i sintomi sono molto meno evidenti, mentre nella PSP e nella MSA all’inizio sono coinvolti in modo simmetrico entrambi i lati del corpo. La CBD è quindi una sorta di parkinsonismo lateralizzato che non risponde o risponde poco alle comuni terapie antiparkinson e progredisce con maggiore rapidità rispetto alla malattia di Parkinson.
Tipica è la sua insorgenza tra la sesta e la settima decade. Nessun caso istologicamente confermato è stato osservato prima dei 45 anni.
Sono coinvolte più aree cerebrali, in particolare la corteccia fronto-parietale e parte dei gangli della base (da cui deriva il nome). Un paziente con la forma tipica della CBD può presentare una varia combinazione di sintomi, all’inizio asimmetrici, che comprende un braccio rigido, con postura distonica e dita flesse della mano, perdita di destrezza e scosse miocloniche.
Nella degenerazione corticobasale la proteina che si aggrega è la tau, come nella PSP. Questo si verifica principalmente in un lato del cervello e in particolare nella zona cerebrale responsabile della progettazione del movimento: i lobi frontali
I disturbi del movimento sono:
– rigidità e lentezza nel movimento, nettamente prevalente da un lato;
– postura anormale delle membra denominata distonia;
– difficoltà nel controllare i movimenti di un arto che sembra muoversi senza la consapevolezza del soggetto, talvolta definito arto “alieno”;
– contrazioni muscolari improvvise o mioclonie.
A questi sintomi si associano disturbi delle funzioni corticali:
– aprassia cioè perdita della capacità di realizzare movimenti complessi con le mani o i piedi;
– difficoltà ad eseguire gesti semplici;
– difficoltà a riconoscere oggetti al tatto, senza l’aiuto della vista;
Possono inoltre associarsi:
– tremore (spesso di origine distonica);
– disfasia (difficoltà nella generazione della parola);
– disartria (difficoltà nell’articolazione della parola);
– contrazione delle palpebre (blefarospasmo).
Alcuni pazienti possono avere disturbi della memoria o del comportamento e delle funzioni cognitive.
I risultati delle terapie sono deludenti non esistendo farmaci con un soddisfacente effetto sintomatico e che rallentino la malattia.
Il 92% dei pazienti è trattato con dopaminomimetici, ma soltanto il 24% presenta una modesta risposta sui sintomi motori. Il clonazepam, impiegato per il trattamento del mioclono, ha una risposta positiva nel 23% dei pazienti, mentre la tossina butolinica migliora la distonia degli arti in 6 su 9 soggetti trattati. Risultano inefficaci anche baclofen benzodiazepine, acido valproico e anticolinergici. Attualmente, non c’è nessun farmaco efficace, purtroppo, ed il disordine è trattato con la terapia fisica.
Sembra, ormai, essere la forma più frequente dopo la malattia diAlzheimer.
E’ definita come demenza progressiva caratterizzata da:
– preminente disturbo della attenzione
– allucinazioni visive
– parkinsonismo
– caratteristica fluttuazione dei sintomi della attenzione con episodi di delirium che possono essere molto “strutturati” e duraturi con marcata sensibilità ai neurolettici
– istopatologicamente caratterizzata dai corpi di Lewy a livello del lobo libico.
La demenza con Corpi di Lewy è una rara malattia neurodegenerativa, a causa sconosciuta, che si manifesta con un progressivo declino delle funzioni cognitive, in grado di interferire con le attività sociali e occupazionali del soggetto, e da segni/sintomi di parkinsonismo. Nel cervello è caratteristica la presenza di Corpi di Lewy (inclusioni cellulari con accumuli di proteine che nella malattia di Parkinson sono presenti nella sostanza nera), sia in aree sottocorticali che corticali, a carattere diffuso, in particolare nell’area limbica. Studi neuropatologici (Dickson DW 1991, Hansen LA 1990) hanno individuato che il 15-25% degli anziani affetti da demenza presentavano corpi di Lewy nella corteccia cerebrale e nel tronco encefalico. La demenza con corpi di Lewy, la cui diagnosi definitiva può essere solo anatomopatologica, rappresenta quindi un sottogruppo molto comune dopo la malattia di Alzheimer.
La sintomatologia clinica consiste in un declino cognitivo progressivo, in modificazioni dell’attenzione, delle funzioni esecutive (risolvere problematiche, pianificare azioni), delle funzioni visuo-spaziali (abilità a riprodurre e riconoscere figure, disegnare o accoppiare figure) e della lucidità, in allucinazioni, generalmente visive, associate a sintomi extrapiramidali.
Le allucinazioni si verificano senza la somministrazione di levodopa o di altri farmaci dopaminoagonisti, mentre nella malattia di Parkinson le allucinazioni sono un effetto collaterale della terapia antiparkinson. In questa malattia i disturbi cognitivi si manifestano prima (o in associazione ai sintomi motori) e non successivamente, come avviene nella malattia di Parkinson.
A differenza della malattia di Alzheimer, il danno alla memoria può mancare nelle fasi iniziali e riguarda soprattutto la memoria retrograda.
E’ caratteristica la fluttuazione dei sintomi, in particolare nel livello della lucidità. Il paziente può alternare periodi di confusione e di lucidità di durata variabile.
Le allucinazioni visive (vedere oggetti, animali o persone che non esistono) sono presenti nel 40-75 per cento dei pazienti, non hanno un fattore scatenante, sono tipicamente ben definite, vivide ed hanno un andamento ricorrente.
Spesso, in fase iniziale, i sintomi possono essere interpretati come disturbi comportamentali.
Il parkinsonismo insorge in genere più tardivamente rispetto ai disturbi cognitivi ed è comunemente bilaterale. Si caratterizza per bradicinesia, rigidità e disturbi della marcia, mentre il tremore a riposo è più raro.
Alcuni tra i sintomi comuni con la malattia di Parkinson: ipofonia, facies ipomimica, camptocormia e deambulazione lenta con passo trascinato, frequenti cadute, episodi sincopali, perdite transitorie di coscienza, ipersensibilità ai neurolettici.
Il tremore è assente.
La diagnosi precoce è importante per le possibili implicazioni terapeutiche. Anche se un trattamento curativo non è ancora disponibile, gli inibitori della colinesterasi possono migliorare i sintomi psicotici, apatia, agitazione psicomotoria e allucinazioni; devono invece essere evitati i neurolettici tipici che con minime dosi possono aggravare i sintomi cognitivi e motori.
Se i problemi comportamentali non rispondono agli inibitori della colinesterasi può essere preso in considerazione il trattamento con basse dosi di antipsicotici atipici (per es. quetiapina, risperidone, o clozapina). Sebbene i sintomi motori rispondano in maniera soddisfacente al trattamento con levodopa, le allucinazioni possono peggiorare dopo la sua assunzione.
CRITERI PER LA DIAGNOSI CLINICA DI DEMENZA CON CORPI DI LEWY
(Mc Keith IG 1996)
1. Declino cognitivo sufficiente ad interferire con le normali funzioni sociali o lavorative. Il disturbo di memoria può essere lieve, mentre sono più evidenti i disturbi di attenzione.
2. Due o più dei seguenti criteri sono indispensabili per una diagnosi probabile
a) deficit cognitivo fluttuante con variazioni nell’attenzione e nel livello di vigilanza
b) allucinazioni visive ricorrenti ben dettagliate
c) parkinsonismo
3. Caratteristiche che supportano la diagnosi
a) cadute ripetute
b) sincope
c) perdite di coscienza transitorie
d) ipersensibilità ai neurolettici tipici (antidopaminergici) con aggravamento dei sintomi cognitivi e motori
e) delirio sistematizzato
f) allucinazioni non visive
4. Diagnosi improbabile in presenza di:
a) malattia cerebrovascolare, evidenziata da segni di lato o da neuroimmagini
b) evidenza all’esame fisico ed alle indagini strumentali di altre malattie sistemiche o encefaliche compatibili con altre diagnosi.
Aspetti tipici del parkinsonismo vascolare
– Interessamento prevalente degli arti inferiori
– Base di appoggio larga e movimenti lenti
– Marcata retropulsione (non in avanti o di lato)
– Andatura strascicata a piccoli passi
– Assenza o scarsità del tremore a riposo
– Aumento del tono muscolare di tipo misto (spasticità + rigidità) senza “ruota dentata”
– Micrografia
– Segni pseudobulbari (disartria, disfagia, labilità emotiva)
– Possibili segni piramidali
– Progressione a gradini, piuttosto rapida
– Presenza di fattori di rischio vascolare e di pregressi episodi cerebrovascolari
– Riscontro alla neuroradiologia di lesioni sottocorticali
Il parkinsonismo vascolare o “parkinsonismo arteriosclerotico” è una patologia cere-brovascolare causata da piccole multiple lesioni ischemiche a livello dei gangli della base che talora passano clinicamente inosservate. E’ quindi il risultato finale di numerosi e molto piccoli ictus ripetuti e silenti che possono essere rilevati attraverso un’esplorazione di Risonanza Magnetica per Imaging (MRI).
La prevalenza della sindrome non è perfettamente conosciuta, oscillando in alcuni studi dal 3% al 12% di tutti i casi di parkinsonismo ma secondo altri è ancora più elevata non essendo sempre attentamente ricercata e riconosciuta.
È certo che la sua prevalenza e incidenza aumentano con l’età. I fattori di rischio del Parkinsonismo vascolare sono simili a quelli delle malattie cerebrovascolari (ipertensione arteriosa, diabete mellito, probabilmente ipercolesterolemia e fumo). Di recente sono stati riscontrati in questi pazienti livelli elevati di anticorpi anticardiolipina, che inducono a pensare a una vasculopatia autoimmune.
I pazienti con parkinsonismo vascolare presentano spesso maggiori difficoltà nella deambulazione (alterazioni della marcia e dell’equilibrio) piuttosto che tremore e tendono a mostrare una sintomatologia più grave agli arti inferiori rispetto a quelli superiori (lower body parkinsonism) che è definita andatura di tipo paraplegico (il paziente cammina con le gambe irrigidite tanto che gli autori anglosassoni parlano di andatura “gelata”).
Alcuni pazienti riportano una brusca insorgenza della sintomatologia o raccontano una storia di lento e graduale deterioramento (i sintomi peggiorano, poi si bloccano per un certo periodo).
I fattori di rischio del parkinsonismo vascolare sono gli stessi dell’ipertensione e quindi si può agire anche in termini preventivi. La progressione della malattia può quindi essere spesso ritardata e perfino bloccata controllando i fattori di rischio.
Inoltre, il decorso può essere “a scalino” con segni nuovi che appaiono all’improvviso, per esempio l’incontinenza urinaria. Possono associarsi manifestazioni “pseudobulbari (presenza di pianto o riso immotivato) definite pseudo perché i nuclei del bulbo funzionerebbero bene, se arrivasse l’informazione giusta, segni piramidali e note di deterioramento cognitivo.
Il Parkinsonismo Vascolare è dunque dovuto ad alterazioni del circolo cerebrale, causa a sua volta di sofferenza della sostanza bianca degli emisferi e di piccole lacune ischemiche. Il quadro clinico è quindi più eterogeneo e se condivide molti segni della forma pura, altri sono diversi.
Fra questi alcuni segni neurologici sono facilmente identificabili dal medico di famiglia:
– la palilalia (pronuncia ripetuta): la voce del parkinsoniano è flebile, ma le sillabe sono al posto giusto. Se il paziente ripete le sillabe pronunciate, magari l’ultima, non siamo di fronte a un caso primitivo di malattia di Parkinson e dobbiamo invece pensare a complicanze frontali;
– il segno del grugno: dando qualche colpetto sul labbro superiore il paziente protrude le labbra. È un segno frontale, cosiddetto “arcaico di liberazione”. Se è presente non possiamo fare diagnosi di Parkinson ma di parkinsonismo;
– il grasp: un segno assai prezioso e facile da evocare. Se nel palmo della mano del paziente si pongono due dita, la sua mano si serra in una morsa. Più l’osservatore cerca di liberarsi, più la mano del paziente si serra. Si può avere il dubbio che il paziente faccia questo di proposito, magari per manifestare affetto e simpatia, ma si osserva come l’ordine di non stringere o la distrazione mantengano ugualmente la pressione forzata.
E’ molto importante sia dal punto di vista prognostico che terapeutico differenziare il parkinsonismo vascolare dalla malattia di Parkinson.
Un elemento importante di distinzione tra le due patologie è che il parkinsonismo vascolare risponde meno alla terapia con levodopa.
Il trattamento, infatti, è identico a quello della malattia di Parkinson vera e propria, ma i risultati sono spesso deludenti. La terapia fisica è utile per trattare i problemi di equilibrio.
DIAGNOSI
Il sospetto di “parkinsonismo vascolare” è basato sulla presenza di segni clinici, ma nessuna procedura diagnostica è attualmente adatta per formulare una diagnosi.
Il sospetto clinico si basa su:
– Presenza all’anamnesi di fattori di rischio cardiovascolare in particolare ipertensione arteriosa, diabete, ipercolesterolemia;
– Precedenti episodi di stroke cerebrale;
– Parkinsonismo con segni atipici o con predominanza agli arti inferiori e scarsa risposta alla levodopa.
A supporto del dato clinico il neurologo può utilizzare la presenza di lesioni vascolari alla MRI, ma questo dato non può dirimere il quesito sulla presenza o meno di una concomitante degenerazione del sistema dopaminergico nigro-striatale.
La presenza di un normale trasportatore della dopamina (DAT) è suggestivo di una quadro clinico non degenerativo.
Tra l’1 e il 6% delle demenze diagnosticate negli over 65 è in realtà un Idrocefalo Normoteso, una “patologia sommersa” che si manifesta in tarda età con sintomi del tutto simili a quelli dell’Alzheimer e del Parkinson. Ma, a differenza di queste, si può curare con un semplice intervento di 60 minuti, e il recupero delle facoltà mentali avviene entro un massimo di due giorni.
Una corretta diagnosi è la condizione indispensabile per garantire il successo dell’intervento chirurgico che è peraltro ben tollerato e privo di inestetismi.
Il paziente dopo l’intervento torna ad una vita normale”.
L’Idrocefalo Normoteso è causato da un accumulo di liquido nel cervello e generalmente colpisce dopo i 60 anni. In condizioni normali, il fluido circola nel cervello, nei ventricoli e nel midollo spinale con funzioni di protezione e nutrimento. Nel caso di Idrocefalo Normoteso il liquido invece si blocca ed esercita una pressione interna che provoca gli scompensi già descritti. La cura consiste nell’impianto di una valvola che drena l’eccesso di liquido e ne permette il riassorbimento. Sconosciute ancora le cause, ma si sospetta sia l’esito di traumi cranici, interventi, emorragie o altre patologie neurologiche.
Oggi è possibile diagnosticare bene la malattia. Nella maggior parte dei casi il primo sintomo è un disturbo di deambulazione, ma da un colloquio con gli specialisti si possono evincere altri elementi che le persone tendono a trascurare. Per questo è fondamentale l’informazione.
APDA – New York