LA FUNZIONE SESSUALE NELLA MALATTIA DI PARKINSON
Dr. Thomas Keeler – Urologo
Le due strade dell’orgasmo maschile
Oggi si parla molto di sessualità e delle sue problematiche.
La disfunzione erettiva è sempre più oggetto di ricerche di base e cliniche che contribuiscono ad una diffusione più corretta delle conoscenze su questo argomento.
Discutere più liberamente di questi argomenti, anche a livello di opinione pubblica, è di notevole aiuto per i pazienti che si sentono maggiormente incoraggiati a parlare dei propri disturbi sessuali con il medico mentre, negli anni passati, un colloquio di questo tipo avrebbe avuto maggiori difficoltà ad iniziare.
La malattia di Parkinson e le malattie degenerative neuronali più gravi come l’Atrofia Multisistemica (MSA), sono comunemente associate ai disturbi sessuali.
Alcuni studi sulla qualità della vita dei malati parkinsoniani hanno stimato che la percentuale di soggetti con disfunzioni sessuali va dal 60% all’80%, comprendendo sia uomini, sia donne.
La percentuale dei malati parkinsoniani con problemi di erezione è più alta nelle persone più anziane rispetto a quelle più giovani.
I malati più giovani presentano una percentuale di disturbi sessuali del 30%, mentre nella popolazione sana di pari età tale percentuale si abbassa al 3% fino ad arrivare al valore massimo del 15%.
Effettivamente, l’età avanzata e molte patologie che accompagnano l’invecchiamento fisiologico come il diabete, l’ipertensione, l’arteriosclerosi e la depressione, possono avere un ruolo rilevante nel causare disfunzioni sessuali.
Il processo erettile inizia nel cervello e coinvolge sia il sistema nervoso che quello vascolare.
Gli stimoli nervosi che determinano nell’uomo la funzione erettile interessano due vie.
La via periferica si attiva attraverso stimoli dell’area genitale ed è mediata da un meccanismo riflesso a livello del midollo spinale.
La seconda via ha origine nel sistema nervoso centrale ed interessa la corteccia cerebrale, l’ipotalamo, il tronco cerebrale e causa un’erezione di tipo psichico in risposta a stimoli immaginativi, uditivi, visivi, olfattivi e tattili.
Lo stimolo sessuale provoca il rilascio di neurotrasmettitori che dal sistema nervoso centrale (cervello) si portano a cascata in periferia, sino alle terminazioni nervose intracavernose del pene.
Sono stati identificati numerosi neurotrasmettitori, compresa la dopamina, la norepinefrina che provocano lo stimolo sessuale mentre la serotonina potrebbe inibirlo.
Dai risultati di uno studio sperimentale è emerso che provocando danni alla Sostanza Nera, si osservavano alterazioni della funzione erettile.
La Sostanza Nera, come noto, è l’area cerebrale la cui degenerazione causa una minore produzione di dopamina, il neurotrasmettitore essenziale per il controllo del movimento, la cui carenza causa i disturbi parkinsoniani.
Nella figura è schematizzata la doppia via attraverso la quale nasce lo stimolo sessuale.
Le frecce verdi rappresentano la via che dal cervello porta il messaggio psi-cogeno
(immaginazione erotica) ai nervi della spina dorsale per rag-giungere gli organi genitali. Da
qui ripartono o partono le sensazioni che dai genitali (frecce rosse) vanno al cervello.
I pazienti parkinsoniani possono quindi presentare il disturbo della disfunzione erettile come risultato del danno neurologico alle vie centrali dopaminergiche.
Le vie sensoriali periferiche dell’attività sessuale, di tipo riflessogeno, non sono invece alterate, rimangono intatte.
Anche nelle donne i meccanismi degli stimoli sessuali di origine psichica sono attivati a livello del sistema nervoso centrale mentre ancora non sono ben compresi i meccanismi degli stimoli sessuali di natura riflessa che interessano la via periferica.
I pazienti con la malattia di Parkinson che presentano delle disfunzioni sessuali ne dovrebbero parlare con il medico curante o con il neurologo.
Si raccomanda anche di rivolgersi all’urologo oppure al ginecologo per le valutazioni del caso.
E’ bene tuttavia identificare, se presenti, anche altre cause che possono influire sulle disfunzioni sessuali e, se è necessario, modificare quelle abitudini di vita che possono essere motivo di tali disfunzioni.
Così, ad esempio, occorre eliminare il fumo, limitare gli alcolici, sostituire farmaci come gli antipertensivi, antidepressivi, anticonvulsivanti, antipsicotici che inducono direttamente o indirettamente disfunzioni dell’erezione con altri farmaci equivalenti che presentano meno effetti indesiderati di questo tipo.
Nel maschio viene anche valutato il livello di testosterone, il principale ormone maschile (gli androgeni), la cui carenza può indurre la riduzione sia della libido (il desiderio sessuale), che della conseguente risposta erettile.
Tale carenza, se necessario, può essere corretta.
Le donne, durante la menopausa, possono beneficiare della terapia sostitutiva a base di estrogeni somministrati in modo continuo per via orale oppure utilizzando le formulazioni di estrogeni per via transdermica (cerotti). Sono disponibili anche numerosissimi tipi di creme vaginali contenenti estrogeni.
È sconsigliabile però usare creme a base di estrogeni per la terapia sostitutiva della menopausa.
Le creme si rivelano utili solo nelle pazienti in premenopausa che presentano secchezza vulvare e scarsa lubrificazione vaginale durante il rapporto sessuale.
Per prevenire i disturbi della sfera sessuale è particolarmente importante per i pazienti affetti dalla malattia di Parkinson controllare sia il proprio stile di vita evitando che diventi troppo sedentario, sia il disturbo depressivo. L’esercizio fisico aiuta i malati parkinsoniani a rimanere fisicamente attivi, contribuisce a mantenere integro il sistema cardiovascolare e scheletrico-muscolare, concorre al rilassamento ed al sonno equilibrato, mantiene equilibrato il peso corporeo ed efficiente la distribuzione energetica corporea e dà un senso di benessere generale. In particolare, gli esercizi di ritonificazione pelvica migliorano i flussi ematolinfatici dell’area pelvica ed il controllo della muscolatura perineale.
Nelle malattie cardiovascolari la disfunzione erettile è una condizione abbastanza comune probabilmente legata ad una riduzione dell’afflusso del sangue al pene.
La depressione è anch’essa causa di ridotta libido e di disfunzione erettile.
A ciò si aggiunge l’impiego di farmaci antidepressivi che possono essere causa di disfunzioni sessuali.
Tuttavia, un trattamento corretto della depressione può aiutare a risolvere anche molti problemi sessuali sia degli uomini che delle donne.
Uno dei maggiori e più significativi progressi nel trattamento della disfunzione erettile è stata l’introduzione di un inibitore dell’enzima fosfodiesterasi (PDE).
La fosfodiesterasi è un enzima presente, sotto varie forme, in vari tessuti del corpo, ove svolge attività modulatrice di altri comportamenti biologici, come cuore, cervello…
Si conoscono undici differenti variazioni dell’enzima fosfodiesterasi.
E’ stato osservato che l’enzima fosfodiesterasi di tipo 5 è presente in prevalenza nei corpi cavernosi del pene nonché nei tessuti del clitoride e della vagina.
Bloccando questo enzima, si verifica un aumento dell’afflusso del sangue nell’organo genitale maschile migliorando la qualità dell’erezione.
Attualmente sono disponibili tre tipi di inibitori della fosfodiesterasi di tipo 5: Sildenafil Citrato (Viagra), Vardenafil (Levitra) e Tadalafil (Cialis).
Tutte e tre i farmaci sono efficaci nel trattamento della disfunzione erettile, provocano, con poche variazioni tra di loro, leggeri effetti collaterali e sono quindi sicuri e ben tollerati.
Tuttavia, nella prescrizione di questi farmaci ai pazienti affetti dalla malattia di Parkinson oppure da Atrofia Multisistemica deve essere osservata la massima prudenza presentando questi pazienti alterazioni del sistema neurovegetativo.
Tali farmaci infatti possono provocare un abbassamento della pressione del sangue e sono quindi una potenziale causa di vertigini o di svenimenti.
Il loro dosaggio iniziale deve essere prescritto dal medico che dovrà valutare gli effetti di questi farmaci sulla pressione del sangue dei malati parkinsoniani.
Attualmente non è stata ancora trovata una risposta per risolvere la disfunzione sessuale femminile tuttavia la ricerca è impegnata a studiare nuovi farmaci. Non tutti gli uomini rispondono all’inibitore dell’enzima fosfodiesterasi di tipo 5 (PDE-5) e taluni non possono tollerare certi effetti collaterali.
Si può ricorrere però anche ad altre terapie.
I farmaci orali a base di Yohimbina, un afrosidiaco naturale, e di Trazodone (in commercio Trittico), un farmaco antidepressivo, hanno dimostrato di avere una certa efficacia.
L’apomorfina, con il nome commerciale di Ixense o Tuluvian, ha un meccanismo di azione molto simile a quello della dopamina che, a livello nervoso centrale stimola anche la risposta sessuale.
L’apomorfina, così, agendo similmente alla dopamina, favorisce una serie di reazioni fisiologiche che conducono all’erezione.
Attualmente, i farmaci a base di apomorfina non hanno ancora ricevuto l’approvazione della FDA come farmaci utili per la disfunzione erettile.
È anche efficace la terapia autoiniettiva con farmaci vasoattivi (prostaglandina, PGE1 o alprostadil, nome commerciale Caverject).
Si effettua una autoiniezione di una dose personalizzata di farmaco in uno dei corpi cavernosi del pene. L’alprostadil è anche somministrabile per via uretrale con apposito gel o supposta, ma l’efficacia è molto più bassa e il fastidio spesso maggiore.
Un intervento chirurgico eseguito routinariamente nei centri urologici più attrezzati è l’impianto di protesi peniene intracavernose che possono risultare utile per alcuni pazienti.
La disfunzione erettile si può curare anche con dispositivi esterni (pompa a vuoto) che favoriscono sempre l’afflusso di sangue verso il pene.
In sintesi, in questo articolo si è parlato delle possibili terapie riguardanti le disfunzioni sessuali dei pazienti parkinsoniani che, se trattate con efficacia, possono effettivamente migliorare la qualità della vita di questi malati e ridurre gli indici di depressione.
Il trattamento delle disfunzioni sessuali degli uomini è generalmente ben tollerato ed efficace. Per le donne, invece, il trattamento di queste problematiche è incerto e, a tutt’oggi, è oggetto di studi scientifici.
Il Dr. Keeler è urologo alla Casa di cura Evanston Northwestern in Illinois e Professore di Clinica urologica al Dipartimento di Urologia della scuola di Medicina di Feinberg, Università di Northwestern.
HO PROBLEMI SESSUALI
Ho 46 anni e sei anni fa mi è stata diagnosticata la malattia di Parkinson.
Da un po’ di tempo ho problemi sessuali. Come posso risolverli? Anche se sono affetto dalla malattia di Parkinson posso usare il farmaco Viagra contro l’im-potenza?
In questi casi è necessaria, prima di tutto, una visita urologica per individuare le possibili cause dell’impotenza.
In un malato parkinsoniano è possibile che le alterazioni del sistema nervoso autonomo siano responsabili di questo disturbo. Sappiamo che da queste alterazioni derivano sintomi come l’ipersalivazione, l’ipotensione ortostatica, la stipsi, i problemi urinari e, quindi, possono essere anche la causa di una disfunzione erettile nell’uomo.
Tali problemi possono, inoltre, derivare dall’utilizzo di specifici farmaci (come il propranololo e gli altri beta-bloccanti, talvolta impiegati per il trattamento del tremore e dell’ipertensione in pazienti con la malattia di Parkinson). Altri farmaci che possono causare lo stesso problema sono gli alfa bloccanti, la guanetidina, i diuretici tiazidici, gli ansiolitici, la digossina, la cimetidina ed alcuni antidepressivi.
La depressione è una causa di impotenza, ma anche il trattamento antidepressivo necessario può a sua volta essere causa di impotenza (per esempio, gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina, antidepressivi triciclici, inibitori delle MAO). Anche particolari malattie concomitanti al morbo di Parkinson possono essere causa delle disfunzioni sessuali: il diabete, l’artrite.
Il malato parkinsoniano può trarre beneficio da una terapia con il Viagra purché non sussistano controindicazioni a livello cardiaco.
L’urologo può comunque segnalare altri modi per risolvere questi problemi che si trovano nelle persone affette dalla malattia di Parkinson.
Di contro in alcuni pazienti in trattamento con alte dosi di farmaci antiparkinsoniani (levodopa) possono a volte presentare un comportamento ipersessuale, nonostante un deficit di performance.
PROF. MANFREDI SAGINARIO
Specialista e libero docente in Neurologia e Psichiatria – Parma
IL PARKINSON NELLE DONNE
Fino ad ora sono stati effettuati pochi studi per valutare come l’essere donna o uomo possa influenzare lo sviluppo e la progressione della malattia di Parkinson. La ricerca attuale studia principalmente gli effetti degli ormoni sessuali sullo sviluppo della malattia di Parkinson. Meno attenzione è stata data alle conseguenze che la malattia di Parkinson causa nella donna sul ciclo mestruale, sulla gravidanza e sulla menopausa. Si pensa, solitamente, al morbo di Parkinson come ad una malattia degli anziani, ma circa il 3-5% delle donne alle quali è stata diagnosticata questa patologia, ha un’età inferiore ai 50 anni. La maggior parte di queste donne ha ancora il ciclo mestruale normale.
MESTRUAZIONI
Taluni studi hanno osservato gli effetti delle normali fluttuazioni ormonali, tipiche del ciclo mestruale (in particolare del progesterone e dell’estrogeno), sulla malattia di Parkinson. E’ emerso, sebbene non sia ancora chiaro il meccanismo implicato, che il ciclo mestruale può causare problemi nel controllo della malattia di Parkinson. Durante il periodo mestruale, le pazienti esaminate lamentavano un peggioramento dei sintomi parkinsoniani con una riduzione nella risposta ai farmaci antiparkinson e un aumento dei periodi “off”. Altri disturbi riferiti riguardavano un maggiore affaticamento, crampi nella zona addominale e un flusso mestruale più abbondante del normale. E’ stato inoltre rilevato che i sintomi premestruali quali: depressione, sensazione di gonfiore, aumento di peso e seno dolorante compaiono con maggiore intensità nelle donne che notano, con il periodo mestruale, un peggioramento dei sintomi parkinsoniani. Tali disturbi terminano solitamente dopo il periodo mestruale, ma si manifestano all’arrivo di ogni ciclo. Taluni specialisti parkinsonologi hanno riferito di non aver mai trattato pazienti donne che, in fase pre-menopausale, non avessero avuto problemi all’arrivo delle mestruazioni. Per molte, le difficoltà si presentano ogni mese, appena prima delle mestruazioni. Per queste donne sembra, semplicemente, che il farmaco antiparkinson smetta di funzionare. Alcune donne hanno questi problemi molti giorni prima dell’arrivo delle mestruazioni e continuano per tutto il periodo mestruale.
Nel corso degli studi, un gruppo di donne, per altro non molto numeroso, ha utilizzato la pillola anticoncezionale per cercare di stabilizzare il livello ormonale e, quindi, minimizzare le fluttuazioni ormonali prima e durante le mestruazioni. Le pazienti hanno riferito di aver controllato meglio i sintomi parkinsoniani durante il periodo mestruale.
GRAVIDANZA
La malattia del Parkinson non compromette la fertilità.
La gravidanza è rara tra le donne affette da malattia di Parkinson, poiché generalmente questa malattia si sviluppa nella seconda metà della vita.
Rimanere in stato interessante può quindi accadere alle donne con forme di malattia ad insorgenza giovanile.
Conseguentemente, è stato segnalato un limitato numero di gravidanze nelle donne affette dalla malattia del Parkinson.
I risultati degli studi riguardano: le conseguenze che la gravidanza ha sulla malattia di Parkinson e le conseguenze che la malattia di Parkinson ha sulla gravidanza. Durante la gravidanza sono stati registrati maggiori disturbi sia non motori, sia motori. I disturbi non motori (quali affaticamento, stipsi e depressione) sembrano migliorare dopo il parto, mentre permangono i sintomi motori (rigidità, lentezza di movimento e tremore).
I risultati della ricerca indicano che la maggiore durata di esposizione all’estrogeno (il periodo che va dalla pubertà alla menopausa) diminuisce il rischio di sviluppare la malattia di Parkinson, mentre sembra che l’aver avuto, nell’arco della propria vita, più gravidanze aumenti il rischio di sviluppare la malattia del Parkinson.
Ciò può apparire contraddittorio, ma potrebbe avere anche una sua validità se si considerano i diversi effetti che l’estriolo (un ormone estrogeno il cui livello aumenta costantemente col progredire della gravidanza) e l’estradiolo (il principale ormone estrogeno prodotto dalle ovaie durante il ciclo) hanno sulla malattia di Parkinson.
La preoccupazione principale delle donne in stato interessante, affette dalla malattia di Parkinson, è se la terapia antiparkinson possa danneggiare il feto.
I farmaci dopaminoagonisti: bromocriptina e pergolide, sono considerati relativamente sicuri durante la gravidanza ma rendono impossibile l’allattamento al seno poiché bloccano la produzione del latte materno.
Per i rimanenti farmaci antiparkinson, compresa la levodopa, alcuni studi su cavie animali hanno dimostrato che la loro somministrazione durante la gravidanza è correlata ad un certo rischio di anomalie fetali.
Attualmente, però, questi risultati non sono stati confermati nell’essere umano.
Nel numero di gravidanze osservate non sono stati, infatti, segnalati difetti nei neonati.
La levodopa, all’inizio della malattia, non è tuttavia un farmaco consigliabile ad una paziente giovane. L’amantadina, assunta nel primo trimestre di gravidanza, è l’unico farmaco antiparkinson che è risultato implicato nelle malformazioni cardiache dei neonati.
Non sono state osservate maggiori malformazioni nei neonati con l’assunzione di Selegilina (Jumex). Finora non vi sono dati disponibili riguardanti gli inibitori delle COMT.
La malattia può causare nella donna cambiamenti nell’autoimmagine che possono portarla all’isolamento sociale e ad avere difficoltà sessuali.
Ciò può causare una diminuzione anche delle gravidanze.
Le donne parkinsoniane in stato di gravidanza devono poi affrontare i problemi legati alla cura e alla crescita del bambino.
Diviene quindi importante poter contare su un sistema sociale che possa sostenere la donna durante la crescita dei figli, specialmente se affetta da una malattia progressiva.
STUDI SCIENTIFICI
È stato osservato che le donne sviluppano la malattia di Parkinson più tardi degli uomini e solitamente dopo la menopausa. La ricerca scientifica di base, nelle sperimentazioni con i ratti, ha segnalato che, in coincidenza con la menopausa, aumenta il lento declino della dopamina prodotta dai neuroni.
L’utilizzo della terapia sostitutiva ormonale nei ratti, privi di ovaie, sembra contrastare la diminuzione di dopamina.
Tuttavia, studi su donne hanno dato risultati contraddittori rilevando benefici parziali o nessun beneficio dalla terapia ormonale sostitutiva.
Ciò può essere dovuto anche alla tempestività con cui si ricorre a questa terapia.
Studi su animali hanno evidenziato una differenza di beneficio legata alla tempestività del rimpiazzo dell’ormone carente.
I ratti che hanno ricevuto ormoni supplementari entro dieci giorni dalla rimozione delle ovaie, non hanno avuto nessun aumento della perdita di dopamina prodotta dalle cellule nervose, mentre i ratti che hanno ricevuto estrogeni dopo trenta giorni hanno perso le cellule dopaminergiche più velocemente.
Non è stato osservato alcun beneficio nei ratti che hanno ricevuto gli ormoni supplementari più tardi.
Dai pochi studi che hanno confrontato l’effetto della terapia ormonale sostitutiva sulla progressione della malattia di Parkinson è emerso che è stata moderatamente positiva.
Le donne che seguono la terapia sostitutiva ormonale hanno segnalato di avere più tempo in “on” e punteggi migliori di funzionalità secondo la scala UPDRS rispetto alle donne che non assumono estrogeni.
Purtroppo, attualmente, il numero di donne esaminate è troppo basso per raccomandare l’utilizzo della terapia ormonale sostitutiva nelle donne con la malattia di Parkinson.
I benefici devono essere ancora valutati rispetto ai rischi segnalati recentemente dagli ultimi studi sulla terapia ormonale sostitutiva, da assumere durante la menopausa.
CONCLUSIONI
Si sta iniziando a comprendere l’effetto degli ormoni sessuali sullo sviluppo e sulla progressione della malattia di Parkinson.
Gli studi recenti suggeriscono l’esi-stenza di un rapporto inverso fra esposizione agli estrogeni nel corso della vita ed il rischio di sviluppare la malattia di Parkinson (più esposizione nel tempo agli estrogeni minor rischio). E’ emerso inoltre che le fluttuazioni dei livelli ormonali legate alle mestruazioni peggiorano i sintomi della malattia.
C’è quindi l’esigenza di individuare nuove strategie terapeutiche per le donne con malattia di Parkinson durante il periodo mestruale, la gravidanza e la menopausa.
APDA – New York