I COMPORTAMENTI COMPULSIVI:
GIOCO D’AZZARDO, SHOPPING SFRENATO, IPERSESSUALITÀ
Dott. Bruno Fontanesi
Specialista in Neurologia e Psichiatria – Primario dei Servizi Psichiatrici dell’ASL di Parma
– Il gioco d’azzardo patologico
– Le caratteristiche del gioco d’azzardo patologico
– Gioco d’azzardo
– Lo shopping compulsivo
– Criteri diagnostici per la dipendenza da shopping
– L’ipersessualità
– Lettera: i problemi sessuali con mio marito
– I farmaci dopaminergici: il perché degli effetti compulsivi
– L’inconscio ed i freni inibitori
– L’aiuto del neurologo
– Comportamenti compulsivi: domande allo psichiatra
– La psicologa di fronte ai comportamenti compulsivi dei pazienti parkinsoniani
I farmaci dopaminergici per il trattamento della malattia di Parkinson possono avere rari effetti collaterali che sfociano nel gioco d’azzardo patologico, nell’ipersessualità, nello shopping compulsivo che non sono quindi direttamente correlati al decorso della malattia. Tali comportamenti indesiderati si sono verificati specialmente ad alti dosaggi dei farmaci dopaminergici e, generalmente, si sono rivelati reversibili con la riduzione o l’interruzione del trattamento.
Iniziamo con il disturbo del comportamento più frequente: il gioco d’azzardo patologico (GAP).
Il gioco d’azzardo patologico consiste nella tendenza del paziente parkinsoniano che sta assumendo un prodotto dopaminergico, a giocare sempre di più.
Il gioco d’azzardo patologico coinvolge all’incirca lo 0,6% della popolazione italiana e circa il 3% della popolazione affetta dalla malattia di Parkinson che sta seguendo una terapia dopaminergica.
CHE COSA E’ IL GIOCO D’AZZARDO PATOLOGICO?
I giocatori compulsivi (o patologici) sono quegli individui che si trovano cronicamente e progressivamente incapaci di resistere all’impulso di giocare.
Il loro comportamento compromette e distrugge le loro relazioni personali, matrimoniali, familiari e lavorative.
Quando il gioco diviene compulsivo, ovvero quando il giocatore sente una necessità impellente di giocare, da attività ricreativa si trasforma in un problema.
La persona ha continue fantasie che riguardano il gioco, entra in una situazione in cui è continuamente presa dall’idea del gioco, dalla possibilità del gioco, dalla necessità di giocare. Se una persona, ad esempio, è abile al lotto, passa l’intera giornata a tentare di escogitare numeri che potrebbero uscire.
La seconda condizione che insorge nel gioco patologico e che ha le caratteristiche tipiche della dipendenza è, come viene chiamata in termini medici, la “tolleranza”. La persona ha il bisogno di sempre più sostanza o di più gioco per ottenere lo stesso livello di eccitamento.
Se ha giocato cento euro in una settimana, la settimana successiva tende ad aumentare la posta, quindi se ha perso, giocherà 150 euro, poi ne giocherà 200, poi 300, e via…
La tendenza dell’individuo è di “rincorrere” altre vincite, aumentando la frequenza di gioco e le puntate ma non riuscirà mai, nel contempo, ad ottenere soddisfazione da quello che sta facendo. Un terzo elemento costitutivo del gioco d’azzardo patologico è la ricerca del rischio. Le persone coinvolte nel gioco d’azzardo patologico trovano eccitante entrare in una condizione di rischio e quindi sono continuamente spronate a giocare per mettersi in competizione con il destino. La persona che è vittima del gioco patologico trova un piacere particolare nel rischiare, sta giocando se stesso nell’ambito del gioco patologico. Per alcune persone quello che sembrava un semplice vizio si trasforma in una vera e propria “schiavitù” e si trovano coinvolte in dinamiche “prive di controllo”. Nel giro di qualche mese si determina una tale situazione al cui interno c’è una totale perdita di controllo dell’impulso al gioco e una perseveranza in questo comportamento.
La persona che ha iniziato a giocare cinque euro, può arrivare a giocare mille euro al mese e poi, continuando a giocare, può arrivare a puntare mille euro alla settimana e va naturalmente al di là di quelle che sono le proprie possibilità economiche.
C’è un impoverimento della famiglia, un impoverimento della persona, un impoverimento della situazione nella quale la persona si trova a vivere. Il giocatore patologico mostra quindi una crescente dipendenza nei confronti del gioco d’azzardo, aumentando la frequenza delle giocate, il tempo passato a giocare, la somma spesa nel tentativo di recuperare le perdite, investendo più delle proprie possibilità economiche e trascurando i normali impegni della vita per dedicarsi al gioco. Il gioco d’azzardo patologico è un disturbo del comportamento che, anche se rientra tuttora nella categoria diagnostica dei disturbi ossessivo-compulsivi, ha in realtà una grande attinenza con la tossicodipendenza, tanto da rientrare nell’area delle cosiddette “dipendenze senza sostanze”. Lo stesso stato di euforia e di eccitazione del giocatore d’azzardo, durante il gioco, è assimilabile a quello prodotto dall’assunzione di droghe, ed allo stesso modo possono manifestarsi nei giocatori d’azzardo delle crisi di astinenza, con crisi d’ansia, sudorazione, nausea e vomito.
La dipendenza creata dal gioco patologico dipenderebbe infatti da meccanismi cerebrali del tutto simili a quelli che regolano l’assuefazione da eroina e cocaina. Queste droghe sono sostanze tossiche che giunte al cervello si legano ai recettori oppiacei i quali sono concentrati in determinate aree del cervello all’interno del circuito della ricompensa (che comprende la VTA, il nucleus accumbens e la corteccia).
Anche i pazienti con la malattia di Parkinson che sviluppano gioco d’azzardo patologico, mostrano un’anormale iperattività nei circuiti nervosi responsabili per la percezione della ricompensa e del controllo dei desideri.
La dopamina (DA) è un neurotrasmettitore o attivatore chimico che lavora anche come un ormone: può aumentare la frequenza del battito cardiaco e la pressione sanguigna ed ha un ruolo chiave nel controllo del movimento da parte del cervello.
Naturalmente è presente nel cervello nei cosiddetti centri del piacere. La carenza di dopamina è alla base della malattia di Parkinson.
La terapia dopaminergica va a stimolare oltre i circuiti cerebrali motori anche i circuiti non motori e in alcuni pazienti in cui il circuito non motorio è ben conservato, la stimolazione è eccessiva e può causare il comportamento compulsivo. Va sottolineato che la maggioranza delle segnalazioni di sindrome patologica del gioco d’azzardo riguarda soggetti parkinsoniani in trattamento con agonisti dopaminergici in associazione a levodopa ed in particolare con il pramipexolo (Mirapexin) che mostra un’alta affinità per i recettori dopaminergici di tipo D3, localizzati nell’area limbica cerebrale.
– Coinvolgimento sempre crescente nel gioco d’azzardo (ad esempio, il soggetto è continuamente intento a rivivere esperienze trascorse di gioco, a valutare o pianificare la prossima impresa di gioco, a escogitare modi per procurarsi il denaro con cui giocare)
– Bisogno di giocare somme di denaro sempre maggiori per raggiungere lo stato di eccitazione desiderato
– Irrequietezza e irritabilità quando si tenta di giocare meno o di smettere
– Il soggetto ricorre al gioco come fuga da problemi o come conforto all’umore disforico (ad esempio, senso di disperazione, di colpa, ansia, depressione)
– Quando perde, il soggetto ritorna spesso a giocare per rifarsi di ciò che ha perduto (“inseguimento” delle perdite)
– Il soggetto mente in famiglia e con gli altri per nascondere il grado di coinvolgimento nel gioco
– Il soggetto compie azioni illegali (ad esempio, reati di falso, truffa, furto, appropriazione indebita) per finanziare il gioco
– Il soggetto mette a rischio o perde una relazione importante, un lavoro, un’opportunità di formazione o di carriera a causa del gioco
– Confida negli altri perché gli forniscano il denaro necessario a far fronte a una situazione economica disperata, causata dal gioco (una “operazione di salvataggio”).
La sindrome patologica del gioco d’azzardo, l’aumento della libido e l’ipersessualità potrebbero essere un effetto di classe associato ai farmaci dopaminoagonisti indicati per il trattamento della sindrome di Parkinson, della sindrome delle gambe senza riposo e dei disturbi endocrini.
In alcuni pazienti parkinsoniani trattati con farmaci dopaminoagonisti, è stato osservato una difficoltà cronica e progressiva a resistere all’impulso di giocare d’azzardo, con conseguenze negative sulle loro relazioni personali, familiari e lavorative.
Inoltre, alcuni pazienti trattati con i farmaci sempre dopaminoagonisti hanno mostrato un comportamento sessuale alterato che ha determinato conseguenze negative per sé e per gli altri.
Tali comportamenti indesiderati si sono verificati specialmente ad alti dosaggi e generalmente si sono rivelati reversibili con la riduzione o l’interruzione del trattamento.
Va sottolineato che la maggioranza delle segnalazioni di sindrome patologica del gioco d’azzardo è stata segnalata in soggetti in trattamento con agonistidopaminergici in associazione a levodopa.
Casi di ipersessualità e aumento della libido sono stati riportati anche nei pazienti trattati con Levodopa/ Benserazide (Madopar).
Nessuna segnalazione è stata riportata per i principi attivi alfa Diidrocriptina e Lisuride (Dopergin).
Sulla base di queste evidenze sono stati apportate modificazioni nel riassunto delle caratteristiche del prodotto delle specialità medicinali dei seguenti principi attivi: Apomorfina, Bromocriptina (Parlodel), Cabergolina (Cabaser), alfa DiidroErgocriptina, Lisuride, Pergolide (Nopar), Pramipexolo (Mirapexin), Ropinirolo (Requip), Levodopa e derivati in associazione con inibitori della COMT (Entacapone) e/o della decarbossilasi (Benserazide e Carbidopa).
E’ tuttavia importante che anche i medici avvertano i pazienti e i loro familiari che potrebbero manifestarsi comportamenti inusuali. Ricercatori del Toronto Western Hospital in Canada hanno valutato i fattori associati al gioco d’azzardo patologico nella malattia di Parkinson (2007).
Dai dati di questo studio è emerso che i pazienti con malattia di Parkinson che hanno una più giovane età all’insorgenza della malattia di Parkinson, una personalità che ama le novità ed una storia familiare o personale di disturbi da uso di alcool possono essere a più alto rischio di gioco d’azzardo patologico con gli agonisti della dopamina.
Comperare piace a tutti. Lo shopping compulsivo però è qualcosa che va molto al di là del comperare. E’ un disturbo caratterizzato dall’impulso irrefrenabile e immediato all’acquisto, da una tensione crescente alleviata solo comprando.
Quello che viene comperato eccede abitualmente la possibilità economica della persona. L’acquisto si rivolge infatti ad oggetti di un notevole valore.
Le donne acquistano preferibilmente capi d’abbigliamento, seguiti da cosmetici, scarpe e gioielli: tutti elementi riconducibili all’immagine. L’uomo, invece, predilige simboli di potere e prestigio come telefonini, computer portatili e attrezzi sportivi.
La persona sostanzialmente si indebita per poter acquistare delle cose e si verificano quindi delle perdite finanziarie notevoli. Anche lo shopping a livelli patologici possiede le caratteristiche della tolleranza che si osserva in altri tipi di dipendenza da comportamenti o da sostanze, che porta la persona ad incrementare progressivamente il proprio tempo e denaro per gli acquisti senza alcuna capacità di controllarsi. Comprando, il soggetto cerca immediata gratificazione, nonostante la consapevolezza delle conseguenze negative a cui andrà incontro.
In seguito all’acquisto sperimenta un senso di benessere e di riduzione delle proprie tensioni che lo induce a ripetere nuovamente questo comportamento.
Le persone affette da shopping compulsivo possono arrivare anche a distruggere letteralmente il patrimonio familiare. Vendono la casa, la macchina…
Lo shopping compulsivo è una malattia psichiatrica che colpisce nel mondo occidentale abitualmente una ristretta porzione di popolazione (0,40,5%), ma che aumenta tra le persone trattate con i farmaci dopaminergici (2-2,5%).
Gli acquisti che vengono effettuati sono totalmente inutili. Se una persona che lavora in banca, ad esempio, ha dieci paia di scarpe è abbastanza normale, ma se la stessa persona ha 1.000 paia di scarpe, la situazione è diversa, ha speso molto di più di quello che poteva spendere. Ciò che inoltre caratterizza lo shopping compulsivo è che spesso vengono acquistate degli oggetti che alla persona non piacciono.
Alcuni dei miei pazienti hanno un comportamento di questo tipo. Escono, vedono in un negozio un oggetto che gli interessa, entrano dentro, si dicono “resisto, resisto, resisto, non lo compero”, poi lo guardano bene e pensano “ma non mi piace neanche tanto”, escono dal negozio, fanno cinquanta metri, tornano indietro e poi lo comperano.
Sanno benissimo di avere altri oggetti simili ma non possono fare a meno di acquistarlo.
Se la persona non acquista entra in una condizione di ansia personale, in una situazione soggettiva che lo fa stare molto male e ciò gli impedisce di fermarsi all’acquisto. Ho un paziente che ha un altro tipo di disturbo psichiatrico, ha 80 cuffie per ascoltare musica, appena in commercio c’è un nuovo tipo di cuffia, l’acquista. Ma questo è un comportamento da collezionista. Lo shopping compulsivo porta ad acquistare 80 cuffie, più altre 80, più altre 80 e così via. In pratica, anche l’acquisto sfrenato potrebbe indurre esperienze emotive simili a quelle di chi fa uso di droghe. Il soggetto si sente euforico quando compra o spende ma, esaurita questa attività crolla. Per recuperare la felicità perduta deve uscire di nuovo e comperare.
Nella sindrome da shopping compulsivo si ha una bassa attività serotoninergica a livello neurofisiologico, così come nella depressione. I farmaci SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, quali fluoxetina,sertralina, paroxetina), inibiscono la ricaptazione della serotonina consentendo una maggiore efficacia e permanenza di essa nel Sistema Nervoso Centrale. Poiché la serotonina trasporta segnali di inibizione comportamentale ed è preposta alla mediazione di emozioni positive, i farmaci ad azione serotoninergica sono in grado di migliorare i quadri patologici dello shopping compulsivo e della depressione, che tra l’altro si presentano spesso associati.
QUAL E’ IL PROBLEMA NELLA MALATTIA DI PARKINSON?
Gli antidepressivi SSRI, alle persone che sono trattate con i farmaci dopaminergici e che sono affetti dal Parkinson, rischiano di peggiorare la loro malattia.
In questo caso, le scelte terapeutico/farmacologiche dovranno tenere conto della presenza dei disordini parkinsoniani facendo molta attenzione a bilanciare la combinazione farmacologica e spesso ciò richiede un riadattamento della terapia dopaminergica.
Lo shopping si configura come un disturbo del comportamento quando si verificano queste condizioni:
– quando il denaro investito per lo shopping è eccessivo rispetto alle proprie possibilità economiche;
– quando gli acquisti si ripetono più volte in una settimana;
– quando gli acquisti perdono la loro ragione d’essere: non importa che cosa si compri, se abiti, CD, profumi, lampade o prosciutti; ciò che conta è comprare, soddisfare un bisogno inderogabile e imprescindibile che spinge ad entrare in un negozio e uscirne carichi di pacchi;
– quando lo shopping risponde a un bisogno che non può essere soddisfatto, per cui il mancato acquisto crea pesanti crisi di ansia e frustrazione;
– quando la dedizione agli acquisti compare come qualcosa di nuovo rispetto alle abitudini precedenti.
L’ipersessualità o dipendenza sessuale o sex addiction è un disturbo psicologico e comportamentale nel quale il soggetto ha una necessità patologica ossessiva di avere rapporti sessuali o comunque di pensare al sesso. Ha quindi una dipendenza dall’attività sessuale identica a quella che si può avere per un qualsiasi tipo di droga e quindi provoca presto o tardi un grande malessere.
Non si parla di ipersessualità se una persona che sta assumendo un prodotto dopaminergico torna ad avere una sessualità come quella di cinque, dieci anni prima o come l’aveva prima di ammalarsi. L’ipersessualità se c’è, vuol dire dipendenza. L’ipersessualità esiste se esistono condizioni di dipendenza mentale, innanzitutto. Anche l’ipersessualità non è un disturbo di cui soffrono solamente le persone che stanno assumendo farmaci dopaminergici, l’ipersessualità esiste nella popolazione naturale.
Si calcola, da recenti indagini statistiche, che questa patologia interessi il 6,5% dei maschi ed il 3% delle donne italiane che in età compresa tra i 20 e i 45 anni, manifestano alcuni sintomi tipici della patologia.
Il concetto fondamentale dell’ipersessualità è la continua presenza di fantasie che hanno delle componenti di natura sessuale dalle quali la persona non riesce a staccarsi se non praticando un’attività sessuale che può anche avere una forma di perversione rispetto alle abitudini sessuali che il soggetto aveva fino a quale momento.
Nei pazienti parkinsoniani che assumono dopaminoagonisti ma frequentemente anche nei pazienti che assumono solo levodopa, può comparire un aumento della libido, con un aumento di richieste al proprio partner di prestazioni sessuali.
A volte l’ipersessualità assume caratteristiche anche patologiche.
Si possono quindi verificare dei notevoli cambiamenti in quelle che sono le abitudini sessuali della persona, la terapia dopaminergica può causare spinte a praticare delle attività sessuali che non sono state mai praticate. Sono state descritte in persone anziane, e questo anche in chi segue la terapia con i farmaci dopaminergici, degli episodi di masturbazione prolungata, evento veramente molto, molto strano, un atteggiamento (che peraltro riguarda un numero limitatissimo di persone) di ricerca di tipo pedofilico o comunque di ricerca di prestazioni di attività sessuali con persone particolarmente giovani.
Il rischio di comportamenti sessuali aberranti, come ipersessualità, esibizionismo o pederastia è un fenomeno probabilmente sottostimato nella malattia di Parkinson sotto trattamento con alti dosaggi di levodopa o dopaminoagonisti.
Tali comportamenti possono essere di interesse della legge e quindi andrebbero considerati anche sotto questo profilo. Il medico dovrebbe essere a conoscenza della possibilità di tali fenomeni e tenerli in debito conto al momento dell’anamnesi, per poter prendere le adeguate contromisure nella prevenzione di comportamenti sessuali aberranti, illegali. Quello che succede in una persona che ha una sindrome di ipersessualità è questa continua ideazione che gira intorno al sesso, che gli impedisce di lavorare, di stare con gli amici e che viene alleviata soltanto in alcuni momenti in funzione di una attività sessuale esplicita e praticata che può essere di tanti tipi e solamente in quei momenti si riduce nella persona la condizioni di ansia, si riduce la condizione della difficoltà.
L’altro aspetto veramente essenziale nel disturbo dell’ipersessualità è la variazione. L’ipersessuale è, anche nella popolazione naturale, una persona che avendo avuto fino ad un dato momento una vita sessuale di un certo tipo, la cambia radicalmente, pratica attività sessuali differenti da quelle che aveva praticato fino al momento in cui si è ammalato, ha delle ricerche sessuali che non aveva mai avuto prima.
Si sono osservate persone, anche persone molto giovani, che possono passare anche 10 ore al giorno davanti ad un sito pornografico. Le persone entrano in una condizione nella quale la presenza di una conduzione sessuale o comunque una stimolazione sessuale diventa talmente importante per la loro vita da impedire ogni altra cosa.
Prima di raggiungere una diagnosi di ipersessualità occorre però che ci siano delle condizioni patologiche molto avanzate. L’ipersessualità quindi è una condizione che impedisce la possibilità alle persone di avere una vita matrimoniale normale, toglie la possibilità molto spesso di raggiungere con la moglie o con il marito quel minimo di attività sessuale che anche ad una certa età è possibile praticare e che fa parte di un buon rapporto matrimoniale.
E’ un problema molto grave, non è un problema piccolo. Gli uomini sono più portati al disturbo dell’ipersessualità o meglio nella nostra società agli uomini è permesso sessualmente qualcosa di più che l’ambito fantastico.
Le donne si mantengono, sessualmente, molto nell’ambito fantastico e un po’ meno nell’ambito operativo.
Una donna che ha una ipersessualità si muove in modo operativo, va a cercare altri partner.
Questo capita anche alle persone anziane. Dal punto di vista neuroendocrino l’ossitocina interviene nei processi di attaccamento, nella erezione e nel raggiungimento dell’orgasmo, mentre la prolattina può interferire con la libido; la dopamina aumenta i livelli di ossitocina, mentre inibisce la prolattina.
La dopamina, il neurotrasmettitore carente nella malattia di Parkinson, ha un ruolo fisiologico nel controllo del comportamento sessuale.
Le alterazioni della dopamina potrebbero dare una prima spiegazione dei disturbi della sfera sessuale nella malattia di Parkinson. L’ipersessualità è una manifestazione di un’aumentata libido. L’aumento della libido è strettamente legato al trattamento con farmaci ad azione sulla dopamina in qualche individuo particolarmente suscettibile e potrebbe essere la conseguenza della inibizione del rilascio di prolattina da parte della dopamina. D’altra parte anche un’azione della levodopa e dei dopaminoagonisti sui recettori D2 a livello del nucleo paraventricolare dell’ipotalamo con aumento dei livelli dell’ossitocina, che agirebbe a livello del parasimpatico sacrale con conseguente risposta vascolare, potrebbe spiegare la ripresa dell’attività sessuale o la risposta in ipersessualità in alcuni individui. In particolare, casi di ipersessualità e aumento della libido sono stati riportati anche nei pazienti trattati con Levodopa / Benserazide (Madopar).
Assisto mio marito parkinsoniano da 18 anni, siamo sposati da 45 anni e abbiamo ambedue più di settant’anni. Nel corso del nostro rapporto di coppia, i rapporti sessuali sono stati nella norma ma con la comparsa della malattia di Parkinson e in più con il diabete, l’erezione è andata calando mano a mano, fino ad annullarsi.
Da parte mia nessun problema, pazienza se la situazione era cambiata, ma da un po’ di tempo mio marito è diventato quasi un maniaco sessuale, richiede prestazioni da parte mia anche tre volte al giorno e tutte le volte che vede il letto. Naturalmente non sono sempre disponibile anche perché non si conclude mai niente e poi alla nostra età la cosa non mi sembra tanto normale. Per lui è però diventata un’ossessione e per me un incubo.
Ne ho parlato al neurologo che ci segue, deve dire molto bene, e mi ha consigliato di somministrare la sera con la camomilla una compressa di Seroquel da 100 mg. dicendomi che è un farmaco antipsicotico indicato in questo caso anche perché sussistono idee di gelosia.
Non è cambiato niente, però almeno di notte si dorme, ma le richieste si ripresentano il mattino, con scenate di gelosia. Nella vostra rivista che leggo sempre molto volentieri, parlate di dimostrare affetto, di avere delle attenzioni verso la persona malata. Da parte mia faccio il possibile, ma vi assicuro che non ne posso più. Scusate il mio sfogo, ma vorrei leggere qualcosa di più su questo problema e come porvi rimedio.
Se il 10% dei malati parkinsoniani trattati con prodotti dopaminergici ha uno di questi disturbi compulsivi (gioco d’azzardo, shopping sfrenato, ipersessualità) vuol dire che questi farmaci riescono a tirare fuori nella persona questi comportamenti aspecifici.
Per informare i pazienti di questi effetti collaterali sono stati modificati gli stampati delle specialità medicinali dei seguenti principi attivi: Apomorfina, Bromocriptina (Parlodel), Cabergolina (Cabaser), Pergolide (Nopar), Pramipexolo (Mirapexin), Ropinirolo (Requip), Levodopa e derivati in associazione con inibitori della COMT (Entacapone) e/o della decarbossilasi (Benserazide e Carbidopa).
Di tutti i farmaci dopaminergici con i quali in questo momento è possibile trattare la malattia di Parkinson non ce ne è uno che non possa determinare questo tipo di comportamenti compulsivi. Tali disturbi si manifestano con la sola levodopa, con la levodopa più benserazide, con la levodopa più carbidopa, con la levodopa associata ai farmaci dopaminoagonisti, con gli inibitori delle monoamminoossidasi B, con gli inibitori della catecol-Ometiltrasferasi e con l’amantadina.
Tutti i farmaci dopaminergici possono quindi indurre in determinate condizioni o fare emergere una situazione di tipo compulsivo. Gli unici farmaci che non hanno effetti di questa natura sono i farmaci anticolinergici che agiscono soltanto sul tremore e non funzionano sulla ipertonia e sulla acinesia. Sono farmaci che però nel tempo sono stati superati. Tutti i farmaci antiparkinson che sono utilizzati per evitare l’effetto on/off (si sta bene per qualche ora e poi improvvisamente si ritorna rigidi), per evitare l’acinesia notturna (non girarsi bene nel letto durante la notte) e per evitare di alzarsi la mattina con difficoltà, possono causare questo tipo di disturbi.
Però, solamente il 10% circa dei pazienti (quindi, 90 su 100) presenta una di queste patologie compulsive che può essere estremamente grave, meno grave, poco grave, assolutamente non grave (nei disturbi assolutamente non gravi vi rientrano quelli trattabili).
Tutti i farmaci dopaminergici possono quindi indurre in determinate condizioni o fare emergere una situazione di tipo compulsivo. Gli unici farmaci che non hanno effetti di questa natura sono i farmaci anticolinergici che agiscono soltanto sul tremore e non funzionano sulla ipertonia e sulla acinesia. Sono farmaci che però nel tempo sono stati superati. Tutti i farmaci antiparkinson che sono utilizzati per evitare l’effetto on/off (si sta bene per qualche ora e poi improvvisamente si ritorna rigidi), per evitare l’acinesia notturna (non girarsi bene nel letto durante la notte) e per evitare di alzarsi la mattina con difficoltà, possono causare questo tipo di disturbi.
Però, solamente il 10% circa dei pazienti (quindi, 90 su 100) presenta una di queste patologie compulsive che può essere estremamente grave, meno grave, poco grave, assolutamente non grave (nei disturbi assolutamente non gravi vi rientrano quelli trattabili). Alcuni studi effettuati con la tecnica delle neuroimmagini SPECT hanno evidenziato in pazienti parkinsoniani con compulsione al gioco una attività molto elevata di alcuni circuiti nervosi responsabili della percezione della ricompensa ed il controllo dei desideri che non era presente nè in soggetti sani, nè in pazienti parkinsoniani senza compulsione al gioco. In alcuni pazienti in cui il circuito non motorio è ben conservato, la stimolazione della terapia dopaminergica è eccessiva e può causare iperattività delle cellule nervose associata a compulsione.
Pertanto, si ritiene che la patologia non dipenda dalla prescrizione di una dose notevolmente alta dei farmaci dopaminergici ma da una predisposizione dei circuiti nervosi del paziente, che potrà essere più o meno sensibile alla terapia. Se mai dovesse capitarvi una di queste patologie, cosa fare? Le persone che hanno questo tipo di problema abitualmente non ne parlano: non ne parlano con il neurologo, abitualmente non ne parlano con il medico di famiglia, non ne parlano con i familiari. E in questo sta l’errore fondamentale. C’è una vergogna nonostante tutto della persona che è legata a questo tipo di comportamento aspecifico, alle difficoltà che si vengono a creare. Ma, non parlando, il disturbo aumenta, i familiari improvvisamente si rendono conto che il malato ha dei comportamenti veramente strani ai quali non riescono assolutamente a farvi fronte. Se vi capitasse una cosa di questo tipo, parlatene immediatamente con il neurologo. Il neurologo è la persona deputata a rivedere la terapia antiparkinson, ad esempio attraverso la riduzione del dosaggio dei farmaci dopaminergici o con la sospensione della terapia oppure cercando di associare altri farmaci in modo che i vantaggi nel controllo della malattia di Parkinson vengono mantenuti e gli svantaggi vengano ridotti.
Non c’è nulla che non possa essere spiegato.
I comportamenti compulsivi sono radicati in profondi nuclei inconsci dove i conflitti, i desideri e le credenze cristallizzate convergono a formare un blocco solido ed impermeabile a tentativi di penetrazione del conscio.
Cesare Musatti, il padre della psicanalisi italiana, ha rappresentato la psiche della persona con l’immagine di un uovo alla cui sinistra ha posto le difese che sono i comportamenti con cui noi ci opponiamo per evitare che emerga il nostro inconscio.
La zona alta dell’immagine è la parte praticamente consapevole ed è molto limitata, è quella parte che crediamo di essere, la zona bassa invece è la parte non consapevole ed è la parte più grande.
Tutti noi abbiamo nella nostra psiche la parte consapevole e la parte non consapevole.
Nella parte non consapevole si stratificano tutti i nostri ricordi, si stratificano le nostre abitudini, si stratificano i nostri affetti, gli odi, si stratificano i desideri, si stratificano tutto quello che è sesso, desiderio di conquista, tutto quello che è voglia di rischio, tendenza all’attacco, aggressività, ecc… è sicuramente preponderante rispetto alla parte conscia. Il gioco d’azzardo, l’acquisto sfrenato, l’ipersessualità sono nella parte inconscia.
Con la terapia dopaminergica succede che quel qualcosa che era organizzato per tenere bloccate delle condizioni aspecifiche, non funziona più e permette a situazioni inconscie di emergere.
Non è quindi la terapia dopaminergica che in sé e per sé determina questi disturbi compulsivi, noi dentro il nostro inconscio abbiamo già tutto e l’abbiamo tutti. Quello che noi siamo e che è dentro il nostro inconscio e di cui noi non ne siamo consapevoli, è certamente preponderante e ci condiziona continuamente rispetto a quelle che sono le scelte della nostra vita. La terapia non fa altro che far emergere ciò che esiste già nella persona, lo tira fuori, permette che emerga, permette che salti fuori. Non è che le persone che presentano disturbi di ipersessualità o di shopping sfrenato siano persone “cattive”, sono delle persone a cui è successo di seguire una terapia che ha messo in evidenza qualcosa che già c’era dentro di loro, che prima riuscivano a contenere ma che salta fuori progressivamente con la terapia dopaminergica.
Compito del neurologo è di individuare i soggetti a rischio e prevenire la manifestazione dei comportamenti compulsivi approfondendo i tratti comportamentali del paziente che possono portare allo sviluppo di disturbi dell’autocontrollo. Per riconoscere precocemente i soggetti a rischio è quindi indispensabile effettuare una valutazione neuropsicologica specifica, da condurre fin dalle fasi iniziali della malattia.
E’ inoltre essenziale informare il paziente ed i familiari di questi possibili rischi legati alla terapia antiparkinson raccomandando di segnalare eventuali comportamenti di tipo compulsivo.
Nella maggior parte dei casi per contrastare questi disturbi è sufficiente ottimizzare il regime terapeutico riducendo il dosaggio dei farmaci dopaminergici e associando anche una terapia comportamentale psichiatrica.
Prof. Ubaldo Bonuccelli
Dipartimento di Neuroscienze dell’Università degli Studi di Pisa
D. Si può avere la variazione dei sentimenti e anche della coscienza?
R. La terapia dopaminegica può avere effetti nella variazione dei sentimenti ma non della coscienza.
D. Se i farmaci dopaminergici fanno così male perché ce li prescrivono?
R. Il mio maestro sosteneva: “Se qualcuno vi dice che il farmaco somministrato non ha alcun effetto collaterale, vuol dire che non fa nulla”.
I farmaci hanno sempre degli effetti collaterali. Attenzione, in questi ultimi 40 anni molti progressi sono stati effettuati nella cura della malattia di Parkinson. Oggi i pazienti parkinsoniani hanno una vita normale. La levodopa ha rappresentato, alla fine degli anni sessanta e agli inizi degli anni settanta, un farmaco veramente straordinario.
Nei primi anni Sessanta, fu osservata la relazione tra la degenerazione delle cellule della “substantia nigra” e la riduzione della produzione della dopamina all’interno del cervello.
Nel 1961 Hornichiewicz e Birkmayer pensarono di sostituire la dopamina mancante somministrando la levodopa (che si “trasforma” nel cervello in dopamina) per via endovenosa: la risposta clinica dei pazienti trattati fu sbalorditiva. Persone che erano a letto da anni si rimisero in piedi e uscirono dall’Ospedale.
Persone che non facevano più alcunché fino a due mesi prima, dopo la terapia con la levodopa riuscivano a parlare, ragionavano regolarmente. Un po’ come nel film “Risvegli” tratto dal romanzo di Oliver Sacks in cui si racconta di un gruppo di pazienti sopravvissuti alla grande epidemia di encefalite letargica (una patologia per molti aspetti simile alla malattia di Parkinson) che si “risvegliavano” dal loro stato grazie all’assunzione di questo “nuovo” farmaco (siamo nel 1969): la levodopa.
I problemi sono venuti dopo poiché la terapia con levodopa non ha una continuità straordinaria. Tuttavia, attualmente, sono in corso studi per individuare farmaci dopaminoagonisti che non causino tali effetti collaterali.
D. Mio marito di 71 anni ha avuto un innamoramento con un persona di 55 anni, non corrisposto. Lei era molto protettiva verso di lui, l’aiutava con il suo lavoro di infermiera. Lui naturalmente non è stato corrisposto, ma si è dichiarato, era arrivato al punto di litigare anche in casa. L’ho fatto ragionare dicendo di guardarsi come era e cosa poteva dare. Prima della malattia, fatti di questo genere non erano mai successi. Come moglie ho sofferto ma ho compreso che erano i farmaci che lo avevano cambiato.
R. Questa storia è molto esemplificativa, la signora non poteva fare altro.
D. Ho da otto anni la malattia di Parkinson e prendo 18 pillole al giorno, levodopa e dopaminoagonisti assieme. Mi riconosco un tantino in due dei comportamenti compulsivi descritti che in verità mi pesano molto.
R. Ne parli con il neurologo con molta tranquillità per una rivalutazione della terapia dopaminergica allo scopo di eliminare questi disturbi.
D. Il malato parkinsoniano potrebbe anche avere un comportamento compulsivo di iperalimentazione?
R. La bulimia compulsiva sta diventando un dramma. Tutte le terapie che possono attivare la funzione dopaminergica possono scatenare anche l’iperalimentazione. La dopamina blocca la produzione di alcuni ormoni ipotalamici e ipofisari che possono bloccare l’appetito. Dando in continuazione i farmaci dopaminergici, questo meccanismo viene superato per cui la persona è portata a mangiare carboidrati, pane, cioccolata…
Nei comportamenti, quali il gioco d’azzardo, lo shopping compulsivo, l’ipersessualità, l’iper-alimentazione, che possono interessare il soggetto affetto da malattia di Parkinson, il mio ruolo come psicologa è di mediare il rapporto tra medico, familiari e paziente.
In tale realtà clinica, la difficoltà predominante è quella di aiutare il malato a contenere e a superare quel sentimento di vergogna, che funge da elemento frenante e che porta ad un conseguente e pericoloso ripiegamento dell’Io.
Spesse volte mi capita che il soggetto malato mi racconti la sua sofferenza emotiva, però la paura del giudizio degli altri, del rifiuto, dell’esclusione dal contesto sociale è talmente elevata, che il soggetto non riesce a comunicare il suo disagio al medico di famiglia, al neurologo ed ai familiari e a tutti coloro che potrebbero aiutarlo nel percorso di cura. A volte il paziente mi riferisce con apprensione: “…dottoressa a lei lo confido, ma non ne parli con il mio medico, perché lo conosco da anni, o con i miei familiari, che resterebbero delusi…”.
L’aiuto terapeutico che posso dare al soggetto è quello di accompagnarlo nei momenti non facili per lui dell’aprirsi e del comunicare alle persone che gli sono vicino la sua vergogna, il suo dolore rispetto a queste condotte, che lui per primo non accetta.
Se io riferissi tali comportamenti ai familiari o al medico curante e ad altri, in fondo, tradirei la sua fiducia. Se il medico gli dicesse “mi ha informato la dottoressa che…”, come conseguenza il paziente non si fiderebbe e non si affiderebbe più a me. Questo avviene anche per i familiari, “…lo dico a lei ma non informi i miei familiari…”.
In tali situazioni, che sono molto delicate, il mio compito è quello di aiutare il soggetto a raccogliere le giuste informazioni rispetto agli effetti collaterali di alcuni farmaci, che possono stimolare tali condotte, e condurlo alla comprensione che il medico di base, il neurologo, insieme alla psicologa non sono soggetti giudicanti, ma professionisti che lavorano insieme nel comune scopo di aiutarlo.
Il familiare opportunamente informato dal soggetto stesso, può rivelarsi una figura fondamentale nel percorso di consapevolezza e di accettazione del problema e un valido aiuto per risolverlo.
La reazione più frequente della persona è quello della negazione. Questo succede perché il soggetto adotta quei meccanismi di difesa dell’Io, che lo aiutano a proteggersi e a mantenere quelle risorse personali utili ad affrontare il problema. Il meccanismo distorto è quello che porta a pensare “…non accetto il problema, quindi non ne ho la consapevolezza, quindi il problema non esiste…”.
In genere, il profilo psicologico del paziente parkinsoniano è di tipo B: è un soggetto che ha molto il senso del dovere, molto preciso, molto ordinato. A volte i pazienti mi portano a vedere le loro cose personali e le presentano ben ordinate, ben catalogate, questo è un esempio della loro personalità.
I comportamenti compulsivi contrastano fortemente con le caratteristiche personologiche pregresse, con il senso del dovere del soggetto, con l’essere sempre considerato e stimato come persona “seria, brava”, ordinata, meticolosa. “… faccio queste cose? Come è possibile, ho sempre agito in modo corretto…”.
Spesso questo problema mi capita non solo con il paziente ma anche con i familiari, che non accettano questi comportamenti, “… ma non è possibile che mia moglie, mio marito si comporti così, non è stato mai così…”.
C’è la difficoltà ad accettare questa diversità, questa devianza dal comportamento consueto.
Sia il malato, che i familiari devono però accettare gli aspetti patologici del sintomo in oggetto.
Quindi, bisogna condurre il soggetto ad accettare che come non possono camminare con la stessa scioltezza precedente alla diagnosi, allo stesso modo gli può capitare anche questa difficoltà, questa compulsività nel compiere determinate azioni, che purtroppo può dare conseguenze a volte anche drammatiche nella sua vita.
E’ importante arrivare insieme alla comprensione ed all’accettazione che tanto quanto i farmaci dopaminergici stimolano la creatività, lo svolgimento di attività artistiche, come scrivere poesie, dipingere, scrivere racconti, dove affiora la capacità del soggetto ad esprimere emozioni, purtroppo ci possono essere anche aspetti negativi, quali le condotte compulsive.
In tal modo sarà più facile capire l’importanza di parlare con il medico di famiglia, con il neurologo di queste problematiche senza vergogna, dando fiducia non solo a me, ma anche al medico, alle altre figure professionali preposte alla cura, che hanno conosceza di tutti quegli elementi informativi, utili a capire queste situazioni provocate dalla terapia farmacolologica.
Come giustamente dice il dott. Fontanesi, tutti i farmaci quando sono efficaci possono anche fare male e creare effetti collaterali. Quindi concludo rivolgendomi a tutti quelli che tra voi hanno queste difficoltà, incoraggiandovi a non provare vergogna per quello che vi capita, che si tratti di un problema motorio o di queste condotte od altro. E’ importante che abbiate consapevolezza di questo per accettarlo, per accettarvi, per lottare senza mai stancarvi allo scopo di poter stare meglio in ogni momento della vostra vita.